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Perché lo smart working nella Pa svela i vizi del lavoro statale

Michel Martone

Il lavoro da remoto nel pubblico impiego, senza meccanismi di controllo sulla produttività, può avere effetti controproducenti

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Purtroppo nel corso della seconda ondata non potremo contare su quella pace sociale nel segno dell’unità nazionale che ci ha consentito di fronteggiare efficacemente la prima. Il protrarsi della crisi sta infatti mettendo in ginocchio il settore privato e quegli imprenditori che, dopo aver fatto gli investimenti per il distanziamento richiesti dalle autorità pubbliche per riaprire i cinema, le palestre, i ristoranti, ora sono costretti a richiudere a causa dei ritardi accumulati dalla politica e dall’amministrazione nel corso dell’estate. Così milioni di lavoratori del settore privato che avevano coltivato la speranza di rientrare al lavoro si vedono costretti a restare a casa in attesa di una cassa integrazione che in molti casi ancora non arriva. In questo contesto, avremmo tutti bisogno della migliore azione amministrativa. Non solo negli ospedali, per salvare vite umane, o nelle piazze, per evitare assembramenti, ma anche per assicurare un minimo di continuità, dai versamenti della cassa integrazione alla concessione delle licenze che nel frattempo si dimezzano.

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Purtroppo nel corso della seconda ondata non potremo contare su quella pace sociale nel segno dell’unità nazionale che ci ha consentito di fronteggiare efficacemente la prima. Il protrarsi della crisi sta infatti mettendo in ginocchio il settore privato e quegli imprenditori che, dopo aver fatto gli investimenti per il distanziamento richiesti dalle autorità pubbliche per riaprire i cinema, le palestre, i ristoranti, ora sono costretti a richiudere a causa dei ritardi accumulati dalla politica e dall’amministrazione nel corso dell’estate. Così milioni di lavoratori del settore privato che avevano coltivato la speranza di rientrare al lavoro si vedono costretti a restare a casa in attesa di una cassa integrazione che in molti casi ancora non arriva. In questo contesto, avremmo tutti bisogno della migliore azione amministrativa. Non solo negli ospedali, per salvare vite umane, o nelle piazze, per evitare assembramenti, ma anche per assicurare un minimo di continuità, dai versamenti della cassa integrazione alla concessione delle licenze che nel frattempo si dimezzano.

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E invece il governo, di fronte a una seconda ondata che pure era stata prevedibile, è costretto a disporre lo smart working comandato per almeno il 50 per cento dei pubblici dipendenti senza aver approntato nel corso dell’estate gli accorgimenti necessari a evitare la paralisi dell’azione amministrativa registrata da più parti nel corso del primo lockdown. L’art. 263 del decreto legge n. 34 del 2020 convertito in legge n. 77 del 2020, cui ora dà attuazione il decreto Dadone, infatti, senza neanche considerare che lo smart working non può funzionare se non si prevedono efficaci meccanismi di controllo dei risultati di chi lavorando da casa non è soggetto al controllo fisico del datore di lavoro, si limita a rinviare genericamente al sistema di valutazione della performance delle prestazioni in sede dei pubblici dipendenti, che già non funzionava. Inoltre il decreto dimentica che, come dimostra l’esperienza delle imprese private che hanno remotizzato l’attività dopo il primo lockdown, l’individuazione degli uffici cd. “remotizzabili” dovrebbe essere condotta ufficio per ufficio avendo presente il buon andamento della pubblica amministrazione, anziché essere realizzata attraverso astratte quote percentuali predeterminate per legge che inevitabilmente non tengono conto delle ricadute concrete legate al funzionamento dei singoli uffici.

 

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Limiti e lacune che lasciano trasparire una visione miope dello smart working – che, senza alcun riscontro fattuale o sostegno statistico, è considerato produttivo come quello in sede, e comunque ontologicamente idoneo a preservare l’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione – e che potrebbero ben presto avere effetti controproducenti, anzitutto presso l’opinione pubblica, qualora la mancanza di qualsiasi presidio di efficienza dovesse portare a un peggioramento generalizzato dell’azione amministrativa da remoto in un momento in cui il paese avrebbe invece bisogno del miglior servizio pubblico per riprendersi dalle devastazioni della pandemia. Anche perché nel frattempo i sindacati dei pubblici dipendenti, facendo rivivere antiche abitudini che hanno resistito alla pandemia, hanno già proclamato lo stato di agitazione contro questo decreto perché anzi vorrebbero sottrarre ai dirigenti il potere di organizzare i tempi e i modi di lavoro e più in generale gli uffici da remotizzare per rimetterlo alla contrattazione collettiva. Rivendicazoni dal sapore antico che ormai appaiono fuori contesto, come le richieste di quei sindacalisti che in televisione ancora reclamano il diritto ai buoni pasto per i pubblici dipendenti che lavorano da casa.

 

Chissà cosa ne pensano tutti quei lavoratori del settore privato che, costretti a casa dal lockdown, ancora sperano di ricevere l’assegno di cassa integrazione. Di sicuro, per questa via, lo smart working da opportunità di modernizzazione dell’azione amministrativa degrada a necessità di ordine pubblico che, per liberare posti sui mezzi di trasporto, rischia di finire confinato in quella trappola della produttività che da 20 anni affligge l’azione amministrativa.

 

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