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No, il lockdown non ci salverà dalla pandemia burocratica

Annalisa Chirico

Le inefficienze della pa e la chiusura dell'Italia già avvenuta. Come preparasi? Chiacchierata con il capo dei costruttori romani

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“Anche senza un lockdown ufficiale, noi costruttori ci siamo già fermati”, è sconfortato il presidente di Ance Roma Nicolò Rebecchini. C’è infatti qualcosa di insidioso nel paese che, pur in assenza di un confinamento totale, si spegne alle ore 18 di ogni sera: strade svuotate, insegne spente. “E dire che in estate il settore delle costruzioni aveva ripreso fiato – dice Rebecchini al Foglio – Nel mese di agosto nella provincia di Roma abbiamo registrato un più 19 per cento di ore lavorate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il motivo è che la gente ha voglia di lavorare e recuperare il tempo perduto”. Ma adesso il paese, in fase 4, potrebbe avviarsi verso la chiusura totale. “Sarebbe una catastrofe per l’economia”.

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“Anche senza un lockdown ufficiale, noi costruttori ci siamo già fermati”, è sconfortato il presidente di Ance Roma Nicolò Rebecchini. C’è infatti qualcosa di insidioso nel paese che, pur in assenza di un confinamento totale, si spegne alle ore 18 di ogni sera: strade svuotate, insegne spente. “E dire che in estate il settore delle costruzioni aveva ripreso fiato – dice Rebecchini al Foglio – Nel mese di agosto nella provincia di Roma abbiamo registrato un più 19 per cento di ore lavorate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il motivo è che la gente ha voglia di lavorare e recuperare il tempo perduto”. Ma adesso il paese, in fase 4, potrebbe avviarsi verso la chiusura totale. “Sarebbe una catastrofe per l’economia”.

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Anche così, però, lei ci racconta che l’attività è fortemente rallentata. “Purtroppo sì: siamo in un lockdown di fatto. I casi positivi sono all’ordine del giorno e, com’è noto, basta essere entrato in contatto con un positivo, che di per sé non è neanche una persona malata, per doversi sigillare in casa per dieci giorni. Così le misure di contenimento impediscono la prosecuzione della nostra attività. Noi non vogliamo fermarci ma le restrizioni attuali ci pongono difficoltà insuperabili. Ci confrontiamo quotidianamente con la pubblica amministrazione in grossa parte in smart working ma ciò rallenta le pratiche, e poi gli operai vanno a lavorare in cantiere, non esiste il cantiere smart. A causa dei contagi e del tracciamento, accade che un giorno manchi la squadra dei carpentieri, un altro si fermano gli incaricati dei movimenti di terra… Con queste misure di contenimento noi ci fermiamo”.

 

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Un esempio? “Lei pensi che soltanto ieri hanno aggiudicato i lotti di una gara da 800 milioni di euro, bandita dal commissario Arcuri, per realizzare presidi sanitari in tutta Italia. La gara era partita il primo ottobre, e lei sa quanto s’impiegherà adesso tra adempimenti autorizzativi e di progettazione? Ci vorranno dei mesi ma l’emergenza è ora”.

 

Lei sta dicendo che saremmo dovuti arrivare meglio equipaggiati all’appuntamento autunnale? “La recrudescenza del virus era un fatto prevedibile. Se avessero realizzato 5.000 terapie intensive in più, adesso non saremmo alla canna del gas. Per non parlare dei bus stracolmi, delle metropolitane affollate. Perché negli scorsi mesi non si è permesso, per esempio, agli albergatori di mettere a disposizione le strutture ricettive per i contagiati? Così si sarebbe consentito a quella gente di lavorare”.

 

Alcune categorie come bar e ristoranti saranno ristorate, altre no. “Anche se non siamo obbligati a chiudere, di fatto subiamo perdite enormi. Il ristoro non andrebbe limitato soltanto a chi è fermo per legge: i professionisti che lavorano grazie al nostro settore si sono già fermati da tempo. Il rallentamento dei lavori significa anche che non riusciamo a rispettare i contratti, e le penali chi le paga? Se io do delle fideiussioni per 18 mesi e poi il cantiere impiega 24 mesi, la banca mi chiede il maggior onere: chi lo paga? Chi copre gli extracosti che derivano, ahinoi, dal contenimento della pandemia? E poi ci sono i costi legati alle lungaggini dell’amministrazione che non ci dà risposte, i procedimenti autorizzativi sono ancora più dilatati, e di questo passo non so come faremo. Lo smart working può essere virtuoso solo a condizione che si passi dal modello dell’autorizzazione-permesso a quello basato sull’autocertificazione. Per questo la disciplina di autotutela, attualmente di diciotto mesi, dovrebbe ridursi a un massimo di tre”.

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Lei resta convinto che sia meglio evitare il lockdown totale? “Sarebbe la catastrofe, non so se saremmo in grado di rialzarci. E poi, domando, a che cosa servirebbe? La curva si appiattirebbe un po’ ma poi, tra un mese, con le prime riaperture i contagi tornerebbero a crescere e, senza un’azione efficace da parte del governo, ci ritroveremmo di nuovo nell’emergenza. Il gioco dello yo-yo, anche no”.

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