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Il Covid ci ricorda che non c’è futuro senza una nuova Pa

Sergio Silvestrini

La pandemia è uno stress test sui vizi del paese. Perché per superare l’emergenza ci vuole una politica dei grandi passi

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Le polemiche all’interno della comunità medica tra chi aveva previsto la seconda ondata e chi pensava che il Covid fosse stato debellato non sono soltanto sterili e inutili ma dannose davanti alla recrudescenza della diffusione del virus. Anche il confronto politico in alcuni momenti scivola sul terreno dell’isteria collettiva generando un senso di smarrimento tra i cittadini, che non è estraneo ai segnali di tensione sociale che vanno manifestandosi in Italia. L’impatto durissimo sul sistema economico e sociale e sulla tenuta psicologica delle persone derivato dall’emergenza sanitaria dovrebbe orientare analisi e scelte politiche volte a superare una crisi che non ha precedenti nel mondo moderno.

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Le polemiche all’interno della comunità medica tra chi aveva previsto la seconda ondata e chi pensava che il Covid fosse stato debellato non sono soltanto sterili e inutili ma dannose davanti alla recrudescenza della diffusione del virus. Anche il confronto politico in alcuni momenti scivola sul terreno dell’isteria collettiva generando un senso di smarrimento tra i cittadini, che non è estraneo ai segnali di tensione sociale che vanno manifestandosi in Italia. L’impatto durissimo sul sistema economico e sociale e sulla tenuta psicologica delle persone derivato dall’emergenza sanitaria dovrebbe orientare analisi e scelte politiche volte a superare una crisi che non ha precedenti nel mondo moderno.

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Un approccio che vale per il nostro Paese ma anche per le istituzioni europee. A quasi un anno dall’esplosione della pandemia dovrebbe esser evidente che dobbiamo abbandonare l’idea della politica del piccolo cabotaggio, della sequenza di provvedimenti che rincorrono gli effetti del virus, sia sul piano delle misure di contenimento e sia su quello del sostegno ai redditi. Il deterioramento della congiuntura è un dato di fatto, l’interrogativo riguarda soltanto l’ampiezza del rallentamento del ciclo economico nell’ultimo trimestre dell’anno che incide in modo rilevante sulla dinamica del Pil nella prima parte del 2021 e di conseguenza sull’entità delle risorse pubbliche che saranno necessarie per sostenere l’economia.

 

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La profonda incertezza sulle prospettive economiche deve essere il faro per mettere mano e riorientare indirizzi e risorse per curare le profonde ferite della crisi. Alla fine di maggio scorso la Commissione Europea elaborò la proposta che poi è diventata il Next generation EU stimando in 750 miliardi la dotazione di risorse finanziarie necessarie per riparare i giganteschi guasti provocati dalla diffusione del virus. Giustamente le risoluzioni di luglio del Consiglio europeo sono state accolte come il riscatto dell’Europa, finalmente uscita da un lungo letargo. Qualcuno ha accostato il Next Generation EU all’istituzione del debito federale proposto da Alexander Hamilton che segnò in modo irreversibile il percorso che culminò con la nascita degli Stati Uniti d’America.

 

Ma il salto evolutivo dell’Unione Europea non è un risultato acquisito. Ancora deve essere completato il processo di approvazione delle risoluzioni del Consiglio Europeo mentre è altamente probabile che andrebbero potenziata la dotazione del bazooka comunitario e rivisti il perimetro e la redistribuzione. L’andamento della pandemia ci sta urlando che le risorse del Recovery Fund e l’architettura istituzionale europea non bastano per una risposta adeguata. Rischiamo di ripetere errori del passato recente (2008 e 2011), ignorando che viviamo un tempo con repentini cambiamenti e dobbiamo rivedere radicalmente i meccanismi di governance delle crisi. Ad esempio la possibilità per l’Europa di indebitarsi senza chiedere ogni volta il permesso al Consiglio, di avere risorse proprie magari attraverso la web tax.

 

Ma oltre alle risorse è necessario che le istituzioni comunitarie abbiano un mandato chiaro e univoco sulle raccomandazioni agli Stati per la gestione delle emergenze continentali e globali. L’ex presidente della Bce, Mario Draghi, ha definito la pandemia come una guerra e gli strumenti per combatterla si chiamano debito pubblico e velocità di risposta. “Il ruolo dello Stato è quello di redigere il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire”. Vale per l’Europa, ma vale anche e soprattutto per l’Italia che deve fare i conti con difficoltà e ostacoli cronici.

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Mi preme ricordare che la CNA da subito ha indicato l’esigenza di uscire dalla logica delle risposte ordinarie. La complessità e la portata della crisi richiedono pensieri e azioni straordinari, innovativi. La dotazione di risorse deve essere accompagnata da un efficiente modello gestionale a sua volta supportato da una accurata analisi delle priorità sulla allocazione dei fondi. È indubbio che la gestione della crisi sia molto complessa, senza riferimenti storici. E tuttavia volgendo lo sguardo oltre l’emergenza si potrebbero avviare alcuni interventi necessari. Ad esempio dotare i nostri ragazzi di pc e connessione internet per assicurare la continuità didattica rappresenta la migliore risposta al digital divide.

 

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Il ricorso massiccio allo smart working ha messo in semi-letargo la nostra pubblica amministrazione mentre avremmo dovuto cogliere l’occasione per avviare una profonda modernizzazione finalizzata a migliorare la produttività del sistema. Vediamo da mesi liste su investimenti prioritari spesso però sganciati da una visione di medio e lungo termine. Ma soprattutto sembra che solo in pochi ci preoccupiamo della capacità di esecuzione dei progetti. Tanto per fare i conti con la realtà, nell’ambito dei programmi comunitari il fondo di sviluppo e coesione ammonta a 48 miliardi per il periodo 2014-2020.

 

Secondo l’ultimo monitoraggio del Mef al giugno scorso gli impegni sfiorano il 15 per cento mentre i pagamenti sono fermi al 5 per cento del totale. Individuare progetti misurandone gli effetti in termini di produttività e ritorni occupazionali, costruire un modello gestionale per l’impiego dei fondi erano e rimangono i compiti da svolgere. Abbandoniamo la logica degli aggiustamenti e delle piccole correzioni se non vogliamo mancare l’appuntamento con la storia. Vale per noi e vale anche per l’Europa.

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