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Ieri 22 mila contagi

La pandemia è anche quota 100

Il grave deficit di personale che si registra nelle scuole e negli ospedali c’entra qualcosa con la riforma irresponsabile approvata nel 2018 da Lega e M5s? I numeri dicono di sì: 33.889 uscite nella scuola e 11.897 nella sanità. Un report in esclusiva

Claudio Cerasa

Quanti sono stati i dipendenti di scuola e sanità a essere andati in pensione prima del tempo grazie alla riforma di Salvini? I primi dati che ci sono stati offerti dall’Inps sono dati aggregati ma confermano il nostro sospetto: la struttura pubblica ha perso personale prezioso, senza alcun ricambio

 

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Da almeno sette mesi a questa parte, più o meno dai primi giorni in cui l’Italia si è ritrovata a fare i conti con il Covid-19, la convivenza quotidiana con la pandemia ha costretto il nostro paese a fare costantemente i conti con una serie di infiniti stress test capaci di misurare in modo spietato la capacità effettiva di resistenza del nostro sistema istituzionale. Il Covid-19 ci ha insegnato che per governare una pandemia non esistono modelli perfetti (Germania a parte?) e che quando l’onda diventa troppo grande anche le strutture più resistenti vengono inesorabilmente travolte. Ma la convivenza con il virus ci ha insegnato anche a studiare con maggiore attenzione quali sono i punti di fragilità del nostro paese. E accanto ad alcune fragilità contingenti, di cui molto si parla, come quelle legate alla capacità di rafforzare il nostro sistema sanitario, vi sono altre fragilità strutturali, di cui poco si parla, che meriterebbero di essere messe a fuoco per avere, anche a futura memoria, un’inquadratura più completa su alcuni vizi importanti del nostro paese. E uno dei vizi di cui si è meno parlato durante la pandemia – vizio che si trova all’origine di alcuni importanti deficit strutturali mostrati in questi mesi dall’Italia – è quello che coincide con una parola e con un numerino che hanno contribuito in modo sostanziale a rendere più fragile l’Italia: quota 100.

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Da almeno sette mesi a questa parte, più o meno dai primi giorni in cui l’Italia si è ritrovata a fare i conti con il Covid-19, la convivenza quotidiana con la pandemia ha costretto il nostro paese a fare costantemente i conti con una serie di infiniti stress test capaci di misurare in modo spietato la capacità effettiva di resistenza del nostro sistema istituzionale. Il Covid-19 ci ha insegnato che per governare una pandemia non esistono modelli perfetti (Germania a parte?) e che quando l’onda diventa troppo grande anche le strutture più resistenti vengono inesorabilmente travolte. Ma la convivenza con il virus ci ha insegnato anche a studiare con maggiore attenzione quali sono i punti di fragilità del nostro paese. E accanto ad alcune fragilità contingenti, di cui molto si parla, come quelle legate alla capacità di rafforzare il nostro sistema sanitario, vi sono altre fragilità strutturali, di cui poco si parla, che meriterebbero di essere messe a fuoco per avere, anche a futura memoria, un’inquadratura più completa su alcuni vizi importanti del nostro paese. E uno dei vizi di cui si è meno parlato durante la pandemia – vizio che si trova all’origine di alcuni importanti deficit strutturali mostrati in questi mesi dall’Italia – è quello che coincide con una parola e con un numerino che hanno contribuito in modo sostanziale a rendere più fragile l’Italia: quota 100.

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Nelle ultime settimane, diversi osservatori si sono giustamente chiesti come sia possibile che nel nostro paese, a fronte di una disoccupazione sempre più elevata, vi siano alcuni posti di lavoro strategici costretti a fare i conti con una robusta carenza di personale e la domanda diventa ancora più centrale se in una fase pandemica i posti di lavoro strategici coincidono con il mondo della sanità e con quello della scuola. Ci siamo dunque chiesti, con un po’ di malizia, se questa carenza di personale potesse essere in qualche modo legata allo scivolo di quota 100 concesso nel 2018 dal governo gialloverde e dopo decine e decine di tentativi di ottenere i numeri dei fruitori di quota 100 da parte dell’Inps siamo riusciti ad avere alcuni dati ufficiali finora inediti. Ci siamo chiesti: quanti sono stati i dipendenti pubblici del mondo della scuola e del mondo della sanità a essere andati in pensione prima del tempo grazie a quota 100?

 

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I primi dati che ci sono stati offerti dall’Inps sono dati aggregati ma comunque interessanti e confermano il nostro sospetto: quota 100 ha indebolito la struttura pubblica, togliendo al mondo della scuola e della sanità personale prezioso, e i legislatori hanno approvato questa riforma demagogica disinteressandosi di come trovare per tempo un ricambio effettivo. Risultato: tra il primo gennaio del 2019 e il primo ottobre del 2020, i beneficiari di quota 100 nel mondo del pubblico (casse pensionistiche ex Inpdap) arrivano a quota 77.737 (34.981 nel 2020, 42.756 nel 2019). Tra questi, coloro che vengono dal mondo della scuola sono esattamente la metà (33.889, di cui 341 insegnanti dell’asilo, a cui si potrebbero aggiungere anche i 687 docenti delle università) e coloro che vengono invece dal mondo della sanità sono 11.897 (di cui 1.676 medici). Sanità e scuola (i dipendenti pubblici in tutto sono 3,3 milioni, 1 milione di persone impiegate nelle scuole e 600 mila nella sanità) sono stati i settori più colpiti da quota 100 (segue il personale dei ministeri, 8.224, mentre l’impatto minore di quota 100 è stato registrato sui magistrati, con 43 pensionamenti anticipati). E se la sanità e la scuola oggi devono fare i conti con delle gravi inefficienze in termini di personale non lo si deve solo a un’emergenza improvvisa (la pandemia) ma lo si deve anche a una scelta irresponsabile fatta due anni fa dalla Lega e dal M5s: indebolire l’organico degli ospedali e delle scuole senza preoccuparsi né dell’impatto sui conti dello stato (costo di quota 100: 5 miliardi all’anno) né dell’impatto sul sistema scolastico e sanitario (i sindacati dei medici stimano una carenza di personale negli ospedali pari al 30 per cento, la Cisl ha calcolato a inizio anno un deficit di 212 mila docenti a tempo determinato da trovare: senza quota 100 i problemi ci sarebbero stati comunque ma ovviamente un po’ meno di oggi).

 

La pandemia ci ha ricordato in modo dirompente quali sono i principali elementi di fragilità del nostro paese. E i problemi generati da quota 100 – che sono ovviamente una goccia all’interno dell’oceano dei problemi della pandemia – si presentano ormai in modo così cristallino da aver indotto l’inventore di questa riforma, Matteo Salvini, a suggerire due giorni fa al governo Conte di “offrire un bonus ai medici che scelgono di rinviare la pensione”. La lezione di questa storia è purtroppo autoevidente: chi gioca con le pensioni non gioca solo con il futuro del nostro paese, ma gioca anche con il suo presente. Speriamo non sia necessaria un’altra pandemia per aprire gli occhi ai nuovi e vecchi cialtroni della politica.

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