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La ricetta anti Covid del Fondo monetario

“Ora è il momento degli investimenti pubblici”. Parla Paolo Mauro (Fmi)

“La spesa in infrastrutture crea lavoro, sostiene la crescita e rafforza la fiducia del settore privato”. Intervista al vicedirettore degli Affari fiscali

Luciano Capone

Per uscire dalla crisi i governi devono aumentare la spesa in conto capitale: "Inizialmente manutenzione delle infrastrutture esistenti, poi rilanciare i progetti esistenti, infine nuovi progetti nel digitale e nel green”. Controllo del defitcit e del debito pubblico non sono più una priorità, il Fmi ha cambiato idea? “La teoria economica è quella di sempre, sono le situazioni a essere cambiate: ora ci troviamo in depressione. Già un anno fa raccomandavamo più investimenti pubblici, anche visti i tassi negativi”.

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La crisi causata dal Covid ha cambiato il modo di guardare all’economia: il deficit e il debito pubblico non sono più una priorità, almeno per il momento. Dopo il crollo del pil nel 2020 e gli stimoli fiscali dei governi per sostenere persone e imprese pari a 11,7 mila miliardi di dollari, quasi il 12% del pil globale, il Fondo monetario internazionale (Fmi) suggerisce agli stati di spendere ancora, ma per gli investimenti. Nell’ultimo Fiscal monitor, il Fondo dedica un capitolo all’importanza della spesa in conto capitale per uscire dalla crisi, soprattutto nelle economie avanzate: rafforzare il sistema sanitario, sviluppare le infrastrutture digitali, affrontare la sfida del cambiamento climatico. “Nella prima fase della crisi gli interventi fiscali sono stati giustamente un salvagente per famiglie e imprese – dice al Foglio Paolo Mauro, vicedirettore del dipartimento degli Affari fiscali del Fmi – ma col cambiare delle fasi l’intervento pubblico può evolvere, soprattutto una volta che l’epidemia è sotto controllo. Per far ripartire l’economia, abbiamo rinnovato la raccomandazione di un maggiore investimento pubblico, perché veniamo da decenni in cui questo tipo di spesa è stata bassa. Negli Stati Uniti i ponti hanno un’età media di 45 anni, in Francia un quarto del sistema idrico dovrebbe essere sostituito. Sono esempi che si possono generalizzare per tutti i paesi avanzati”. 

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La crisi causata dal Covid ha cambiato il modo di guardare all’economia: il deficit e il debito pubblico non sono più una priorità, almeno per il momento. Dopo il crollo del pil nel 2020 e gli stimoli fiscali dei governi per sostenere persone e imprese pari a 11,7 mila miliardi di dollari, quasi il 12% del pil globale, il Fondo monetario internazionale (Fmi) suggerisce agli stati di spendere ancora, ma per gli investimenti. Nell’ultimo Fiscal monitor, il Fondo dedica un capitolo all’importanza della spesa in conto capitale per uscire dalla crisi, soprattutto nelle economie avanzate: rafforzare il sistema sanitario, sviluppare le infrastrutture digitali, affrontare la sfida del cambiamento climatico. “Nella prima fase della crisi gli interventi fiscali sono stati giustamente un salvagente per famiglie e imprese – dice al Foglio Paolo Mauro, vicedirettore del dipartimento degli Affari fiscali del Fmi – ma col cambiare delle fasi l’intervento pubblico può evolvere, soprattutto una volta che l’epidemia è sotto controllo. Per far ripartire l’economia, abbiamo rinnovato la raccomandazione di un maggiore investimento pubblico, perché veniamo da decenni in cui questo tipo di spesa è stata bassa. Negli Stati Uniti i ponti hanno un’età media di 45 anni, in Francia un quarto del sistema idrico dovrebbe essere sostituito. Sono esempi che si possono generalizzare per tutti i paesi avanzati”. 

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Aumentare gli investimenti era opportuno fin da prima della crisi, visto che i tassi di interesse erano già molto bassi. Con la pandemia l’orizzonte dei tassi bassi si estenderà per molto tempo e “in più c’è molta incertezza, che ha fatto crollare gli investimenti privati”, dice Mauro. Perciò uno dei modi migliori per aiutare le imprese private è l’investimento pubblico, che deve svilupparsi in diverse fasi: “Inizialmente sulla manutenzione delle infrastrutture esistenti, perché ce n’è bisogno e perché non ci vuole molto tempo per pianificarla, quindi crea lavoro immediatamente. Poi bisogna guardare ai progetti che sono stati posticipati o che sono stati rallentati e che possono essere rilanciati immediatamente. Allo stesso tempo, bisogna progettare nuovi investimenti, nel digitale e nel verde, che dovranno essere pronti quando si tornerà a una situazione normale. Bisogna lavorare sugli investimenti pubblici in varie dimensioni e che partono in momenti diversi”. Secondo le stime del Fmi, basate su un campione di 72 economie avanzate ed emergenti, un aumento degli investimenti pubblici dell’1% del pil può far aumentare il pil del 2,7%, gli investimenti privati del 10% e l’occupazione dell’1,2%. Ciò che più è interessante è l’effetto di stimolo sugli investimenti privati, che invece in tempi ordinari possono essere spiazzati da un aumento della spesa pubblica. “A causa della pandemia c’è un’incertezza molto forte e questo aumenta il moltiplicatore degli investimenti pubblici, perché rassicura gli operatori del settore privato”. L’investimento pubblico soprattutto nelle infrastrutture può quindi rafforzare la fiducia del settore privato durante la ripresa e indurlo a investire sia per iniziative proprie sia in maniera complementare ai progetti statali. Ma oltre a presentare progetti sensati, affinché questo effetto catalizzatore sia sostenuto è necessario fare delle riforme. “Dalle nostre stime su un campione di 400 mila imprese – dice Paolo Mauro – emerge che gli investimenti pubblici hanno un impatto più forte su quelle meno indebitate, e questo è un punto importante perché a causa della crisi molte imprese sono fortemente indebitate. Sarà quindi estremamente importante avere un sistema attraverso cui il fallimento di un’azienda viene risolto in fretta. Quindi in paesi come l’Italia, dove storicamente c’è un problema di giustizia lenta, velocizzare i tempi delle cause civili diventa al momento ancora più urgente”.

In questo contesto, diventa fondamentale anche la scelta di continuare a sussidiare il tessuto produttivo pre-Covid, perché tenere in vita le cosiddette imprese “zombie” può limitare l’impatto degli stimoli fiscali e rallentare la ripresa. “Questo passaggio è molto difficile da gestire”, dice l’economista. “In una prima fase è normale preservare i posti di lavoro, ma a un certo punto ci saranno imprese che non possono sopravvivere alla crisi e si dovranno slegare i sussidi dal posto di lavoro. Bisognerà insomma aiutare il lavoratore, attraverso un sussidio di disoccupazione e la formazione, a spostarsi verso aziende e settori più produttivi. Certo, è facile a dirsi e difficile a farsi, ma è un tema che non si può ignorare”. Un tema di cui il vicedirettore del dipartimento degli Affari fiscali, da economista, si è occupato a lungo è quello della corruzione e dei suoi effetti sulla crescita. L’aumento della spesa pubblica, in particolare degli investimenti, crea opportunità per comportamenti corruttivi. In Italia c’è sempre una tensione tra la richiesta di più regole per imbrigliare la corruzione e la richiesta di sospensione di quelle stesse regole per sbloccare gli investimenti. Come bisogna muoversi? “Non c’è una soluzione magica. Troppe regole possono favorire la poca trasparenza e un aumento della discrezionalità della burocrazia, cose che inevitabilmente creano possibilità di corruzione. Ciò che è estremamente importante, soprattutto in questa fase di crisi, per muoversi velocemente ed efficacemente è avere regole di trasparenza: poter verificare come e a chi vengono assegnati i finanziamenti e controllare ex post come sono stati spesi”.

Questa forte spinta a favore dell’intervento pubblico è in controtendenza con i suggerimenti degli anni passati in cui si predicava attenzione al deficit e al debito pubblico. Il Fmi ha cambiato idea? “La teoria economica è quella di sempre, sono le situazioni a essere cambiate: ora ci troviamo in depressione. Ma già un anno fa raccomandavamo maggiori investimenti pubblici, anche visti i tassi negativi nella maggioranza dei paesi sviluppati. Ora quel suggerimento vale più di prima e forse siamo anche ascoltati più di prima”. Quindi ora per paesi come l’Italia il debito pubblico non è più un problema? “Dare priorità al controllo del debito in questo momento, quando la pandemia purtroppo continua, e molte persone hanno bisogno di aiuto letteralmente per sopravvivere, sarebbe controproducente . E’ bene comunque indicare che il debito sarà mantenuto sotto controllo nel medio periodo. L’Italia ha un problema di crescita bassa, e a maggior ragione è importante che faccia investimenti sensati e che producano crescita in settori come il digitale e la transizione verde”.

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