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L'intervista

“Modello Enel per le municipalizzate”. Come rimettere in sesto Roma

Nunzia Penelope

Riunire le due aziende in una holding con governance alla tedesca e il pubblico come proprietario. E ripensare il settore urbanistico, scientifico e culturale, per replicare nella Capitale il "modello Milano". La versione di Marco Simoni, presidente di Human Technopole

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Dice Marco Simoni, economista, presidente di Human Technopole, che Roma è un problema nazionale. E il problema di Roma è la debolezza economica, che si trascina dietro quella sociale. Il peso morto sono innanzi tutto le municipalizzate: da Atac a Ama. Da qui nasce una proposta che l’economista romano definisce “modello Enel”. Le sue idee per la città le ha illustrate in un saggio appena uscito sulla rivista Il Mulino. L’azienda elettrica, spiega, è il simbolo del pubblico-privato che funziona, mentre i servizi romani sono la rappresentazione di tutto ciò che non va. Ma la ragione non sta nella dittatura dei sindacati, o nell’incapacità dei manager: “Nemmeno un Marchionne, per come sono organizzate queste società, riuscirebbe a rilanciarle. E’ il modello aziendale che non funziona, e va cambiato”.

 

Il modello Enel, applicato ai servizi pubblici romani, si tradurrebbe in società con posti di lavoro di grande qualità e salari più alti della media, fortemente capitalizzate, con un controllo di mercato sul loro operato, in grado di promuovere innovazione. Scartando l’ipotesi della bacchetta magica per trasformare i carrozzoni romani in un gioiello di efficienza, Simoni suggerisce, più concretamente, di riunire le società dei servizi – a partire da Ama e Atac, ma non solo – sotto una holding da quotare in Borsa, dotandola di una governance alla tedesca. Il controllo proprietario resterebbe pubblico, “per lasciare alla politica lo spazio di indirizzo che deve avere, anche in termini di costi per i cittadini con bassi redditi. Ma sulla base di una gestione efficiente, manageriale, indipendente”. “Bisogna uscire da ‘privatizzazione sì privatizzazione no’, è un dibattito vecchio che non ha senso – spiega Simoni –. In certi settori la presenza pubblica è fondamentale: i trasporti vanno sussidiati, perché garantire il servizio a tutti produce perdite. La raccolta dei rifiuti, al contrario, può essere fonte di entrate. Se le aziende di servizi pubblici fossero sotto lo stesso tetto potrebbero compensarsi finanziariamente e adottare strategie di produzione e di sviluppo sinergiche”. Ma si può fare assai di più: “Roma ha tre milioni di abitanti, altri tre gravitano attorno. E’ un piccolo stato, una Danimarca. Una popolazione così ampia rappresenta un formidabile motore di sviluppo economico. Un cambio di modello garantirebbe alle municipalizzate le risorse per avviare progetti di lungo periodo, contando su un flusso finanziario di cassa costante, con cui movimentare altri capitali da investire in innovazione e tecnologia”.

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Gli unici ostacoli al progetto sarebbero politici: “Ma tutti dicono che a Roma ci vuole un cambiamento e questo lo sarebbe realmente. E’ un’illusione pensare di risolvere i problemi della città spostando un assessore”. Nella visione dell’economista non ci sono solo bus & monnezza, ma anche cultura, urbanistica, convegnistica, ricerca, scienza: tutto va ripensato, dice, in un’ottica di sviluppo economico e sociale. Troppe le occasioni perdute. “A Roma si è tenuta una delle conferenze mondiali di investitori di JP Morgan, mille persone tra le più finanziariamente interessanti del mondo, ma la città non se n’è accorta, il Comune lo ha ignorato. Eppure, sarebbe stato un veicolo fortissimo di promozione internazionale”. Simoni è convinto che anche il famoso “modello Milano” potrebbe essere replicato nella capitale: “Con Human Technopole abbiamo creato un polo di ricerca internazionale riuscendo ad attrarre 3 miliardi di capitali privati: perché a Roma no? Ha una grandissima forza di attrazione, ma non la sfrutta. Netflix apre una sede, ma poi gli stranieri che arrivano per le produzioni non sanno a chi rivolgersi per i problemi di immigrazione. Il campus biomedico di Trigoria richiama scienziati da tutto il mondo, ma non esiste un collegamento facile con l’aeroporto o la stazione. E potremmo proseguire con altri mille esempi. Per questo credo che evocare il cambiamento, senza declinare il come e il cosa, equivalga a una stasi. Il discorso pubblico sul futuro della città va fatto fino in fondo, non può essere più rimandato: ognuno deve prendersi le sue responsabilità.

 

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