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Lo stato fa troppo e male

Contro la poliburocrazia

Luciano Capone

L'epidemia ha messo ulteriormente in luce le disfunzioni dell'intreccio perverso fra politica e apparato burocratico. Se non si riforma la Pubblica amministrazione, introducendo merito ed efficienza, l’Italia non riparte. Qualche proposta dall'ultimo libro di Tito Boeri e Sergio Rizzo

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Il Covid, come abbiamo purtroppo imparato a conoscere, è una malattia che colpisce soprattutto le persone più fragili. Allo stesso modo colpisce più duramente le fragilità delle organizzazioni sociali. E in Italia l’apparato pubblico, il corpaccione statale, di certo non scoppiava di salute. Si portava dietro una serie di criticità, di patologie, che con l’epidemia sono diventate più evidenti e gravi di prima. Anche per questo motivo l’Italia, che già prima era più lenta degli altri paesi, ora che si è fermata fa fatica a riprendersi. Nel libro di Tito Boeri e Sergio Rizzo, “Riprendiamoci lo stato” (Feltrinelli), la descrizione delle disfunzioni della macchina pubblica è impietosa e va dalle inefficienze alle ruberie, in tutti i settori. Tutto fa parte di quella che gli autori definiscono come il vero male del paese che non è la burocrazia, ma la “poliburocrazia”. Ovvero “l’intreccio perverso fra politica e amministrazione che affligge da anni la nostra macchina pubblica”.

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Il Covid, come abbiamo purtroppo imparato a conoscere, è una malattia che colpisce soprattutto le persone più fragili. Allo stesso modo colpisce più duramente le fragilità delle organizzazioni sociali. E in Italia l’apparato pubblico, il corpaccione statale, di certo non scoppiava di salute. Si portava dietro una serie di criticità, di patologie, che con l’epidemia sono diventate più evidenti e gravi di prima. Anche per questo motivo l’Italia, che già prima era più lenta degli altri paesi, ora che si è fermata fa fatica a riprendersi. Nel libro di Tito Boeri e Sergio Rizzo, “Riprendiamoci lo stato” (Feltrinelli), la descrizione delle disfunzioni della macchina pubblica è impietosa e va dalle inefficienze alle ruberie, in tutti i settori. Tutto fa parte di quella che gli autori definiscono come il vero male del paese che non è la burocrazia, ma la “poliburocrazia”. Ovvero “l’intreccio perverso fra politica e amministrazione che affligge da anni la nostra macchina pubblica”.

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Fino a qui il saggio di Boeri e Rizzo va un po’ sul registro de “La Casta”, il libro-inchiesta dello stesso Rizzo e di Gian Antonio Stella che è stato il manifesto dell’antipolitica che in questi anni ha egemonizzato la discussione pubblica. Questa stagione, che ha raggiunto il suo compimento – e, si spera, la sua conclusione – con il referendum sul taglio del numero di parlamentari, non ha prodotto risultati esaltanti. Gli anticasta hanno governato a colpi di demagogia e i problemi che c’erano sono ancora tutti lì, più gravi di prima. Le cose più interessanti, quindi, non si trovano nelle prime 250 pagine – che comunque servono a descrivere e inquadrare i problemi – ma nelle 50 pagine finali, che rappresentano la parte costruttiva e indicano “come l’Italia può ripartire” (il sottotitolo del libro).

 

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Innanzitutto Boeri e Rizzo contestano una diagnosi che fanno in tanti, cioè che l’Italia sia come “una macchina con la batteria scarica” e per ripartire abbia solo bisogno di “una spinta” come quella che viene dall’Europa con il Recovery fund. “Questa idea è sbagliata – scrivono –. L’Italia non ha bisogno di una spinta e neanche di cambiare la batteria. Il motore è in panne, e il guasto non è di quelli semplici da riparare”. Insomma, per far ripartire il paese bisogna sporcarsi le mani e adoperare il cacciavite (per usare una metafora di un ex premier). E gli autori indicano come intervenire facendo proposte concrete. Eccone alcune in sintesi. Scegliere i vertici della Pa in base al merito e attraverso una procedura trasparente. Il che vuol dire raccogliere, un anno prima della scadenza del mandato, le manifestazioni di interesse dei candidati definendo requisiti stringenti e poi vincolare la scelta, sulla base del curriculum, al parere favorevole delle commissioni parlamentari (sottraendo così il potere delle nomine all’esecutivo). In generale, il rafforzamento delle competenze tecniche dei dirigenti è il migliore antidoto contro la politicizzazione della Pa. Proprio per questo, per scegliere meglio i dirigenti, bisogna ridurne il numero. Mentre in tutti i paesi europei il settore privato ha un rapporto tra dirigenti e impiegati più alto rispetto al settore pubblico, in Italia è il contrario: “Il pubblico ha il doppio dei dirigenti del privato”. Le assunzioni – nei prossimi tre anni andranno in pensione 300 mila dipendenti pubblici – dovrebbero avvenire solo per concorso, come prevede la Costituzione, ed elevando gli standard della selezione.

 

Altre proposte sono l’allineamento dei salari all’offerta di lavoro, come accade in altre parti del mondo, per rendere il pubblico impiego più attrattivo al nord e il settore privato relativamente più competitivo nel Mezzogiorno. E poi misurare i risultati in base al giudizio degli utenti, legare lo stipendio ai risultati e pensare a una cassa integrazione anche nel pubblico impiego. Sono tutte riforme che i sindacati non vogliono neppure discutere e che, infatti, la politica non si sogna di proporre. Ma senza, anche con la spinta del Recovery fund, è difficile che l’Italia riparta.

 

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