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Recovery Italia

Guido Tabellini

I soldi dell'Europa sono importanti. Ma per efficientare l'Italia non servono più fondi, serve più coraggio. Un’agenda

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Come usare le risorse del Recovery fund, perché l’Italia possa tornare a crescere? Non è facile rispondere a questa domanda, per una ragione molto semplice. Le cause del declino economico italiano non sono dovute a una carenza di spesa pubblica. Certo, la spesa pubblica è allocata male, è soprattutto una spesa per trasferimenti, e ci sono gravi carenze nella spesa per ricerca, sanità e investimenti pubblici. Ma se l’economia italiana non cresce, non è per mancanza di risorse statali, ma per via di altri ostacoli di carattere generale.

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Come usare le risorse del Recovery fund, perché l’Italia possa tornare a crescere? Non è facile rispondere a questa domanda, per una ragione molto semplice. Le cause del declino economico italiano non sono dovute a una carenza di spesa pubblica. Certo, la spesa pubblica è allocata male, è soprattutto una spesa per trasferimenti, e ci sono gravi carenze nella spesa per ricerca, sanità e investimenti pubblici. Ma se l’economia italiana non cresce, non è per mancanza di risorse statali, ma per via di altri ostacoli di carattere generale.

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Rimuovere questi ostacoli dovrebbe essere la priorità del Recovery plan italiano. Spendere bene i soldi che arriveranno dall’Europa è importante. Ma impostare le riforme necessarie a rilanciare la crescita è infinitamente più importante. Tra il 1995 e il 2015, la produttività del lavoro è cresciuta del 32 per cento negli Stati Uniti, del 25 in Germania, e solo del 3 in Italia. La ragione di questa stagnazione della produttività è soprattutto una: il nostro paese non ha saputo approfittare della rivoluzione informatica arrivata con le nuove tecnologie digitali. Gli investimenti in tecnologie informatiche delle imprese italiane sono minuscoli rispetto agli altri paesi avanzati.

 

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Secondo una ricerca recente di Fabiano Schivardi e di Tom Schmitz, lo stock di capitale informatico negli Stati Uniti e in Germania è cresciuto quasi tre volte più che in Italia tra il 1995 e il 2015. Anche la riorganizzazione della produzione associata alla rivoluzione informatica è stata modesta in Italia. Né vi sono imprese italiane che giocano un ruolo rilevante nello spostare la frontiera delle nuove applicazioni delle tecnologie informatiche. Per quanto sbagliata sia l’allocazione della spesa pubblica in Italia, è difficile pensare che sia questa la ragione principale del ritardo italiano nel trarre beneficio dalle nuove tecnologie digitali. Le cause del ritardo tecnologico dell’Italia sono altre, e vanno cercate nelle dimensioni troppo piccole delle nostre imprese, nella loro specializzazione settoriale, nelle difficoltà ad attrarre capitale industriale e umano dall’estero, nella “fuga dei cervelli” verso paesi che offrono migliori opportunità economiche per i giovani più brillanti e intraprendenti.

 

Queste carenze del sistema produttivo italiano sono ben note. Le riforme necessarie per porvi rimedio sono spesso a costo zero, e anche il loro elenco è ben noto: (1) lotta all’evasione fiscale (che è un sussidio implicito alle imprese più piccole e peggio organizzate); (2) mercato del lavoro (la contrattazione centralizzata ostacola l’allocazione delle risorse, e altre rigidità rendono più difficile l’adozione di nuove tecnologie che comportino riorganizzazioni aziendali); (3) tutela della concorrenza (l’ingresso e la nascita di nuove imprese sono scoraggiati da ostacoli amministrativi, soprattutto nei servizi); (4) pubblica amministrazione e giustizia civile (il loro cattivo funzionamento è una tassa implicita che grava maggiormente sulle imprese più sofisticate e a grandi dimensioni).

 

Sono queste le priorità intorno alle quali dovrebbe essere costruito il Recovery plan italiano. E non c’è bisogno di spendere di più per realizzarle. Vi è tuttavia un’area in cui lo stato dovrebbe spendere di più. È il potenziamento delle capacità di fare ricerca scientifica d’avanguardia. Lo sviluppo e le applicazioni dell’intelligenza artificiale, insieme alla ricerca biomedica, sono la nuova frontiera dell’innovazione tecnologica. È importante che anche l’Italia possa partecipare alla corsa all’innovazione in questi campi. Ma perché ciò avvenga, occorre investire nella ricerca universitaria e applicata, indirizzando le risorse aggiuntive verso i centri di eccellenza che già esistono, e che hanno maggiori probabilità di competere con successo su scala mondiale.

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Le nuove tecnologie digitali stanno trasformando il modo di produrre e di creare ricchezza. La sfida per la politica economica è aiutare il settore privato a colmare i ritardi accumulati in questi anni, e far emergere dei campioni in grado di partecipare da protagonisti alla corsa all’innovazione. Per fare questo occorre spendere di più in ricerca di base e nell’università, attirare o quanto meno trattenere il capitale umano, e soprattutto rimuovere gli ostacoli a una migliore allocazione delle risorse. Sono queste le priorità per non sprecare un’occasione di svolta che potrebbe non ripetersi.

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