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Recovery fund: questa volta potrebbe (e dovrebbe) essere diverso

Lorenzo Codogno e Giancarlo Corsetti

Le condizioni sono favorevoli. Ma per una crescita sana e sostenibile non basta spendere tutto, bisogna spendere bene

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Il premio Nobel per l’Economia Paul Samuelson si starà rigirando nella tomba nel vedere riproposte vecchie ricette economiche da lui archiviate sia sul piano logico sia pratico. Una tra tutte: il “pump-priming”, ovvero l’“adescamento” che si usava per attivare le vecchie pompe idrauliche, applicato al moltiplicatore fiscale. Secondo questa logica, le risorse che un governo mette in campo per stimolare la crescita attraverso spesa pubblica e investimenti possono innescare una crescita virtuosa che si auto alimenta al punto che i guadagni di pil e di gettito fiscale sarebbero sufficienti ad azzerare l’indebitamento aggiuntivo iniziale. Purtroppo, come appunto dimostrato da Samuelson, la spesa pubblica non ha questi effetti miracolosi. In sostanza, non c’è una via d’uscita dall’alto debito attraverso la spesa pubblica o lo stimolo alla domanda, sia pur per investimenti. E pur tuttavia, bisogna riconoscere che la situazione di oggi è particolare, e diversa dal passato per vari aspetti. Innanzitutto, l’economia mondiale ha attraversato una crisi senza precedenti, segnata al suo inizio da un improvviso arresto cardiaco che ha richiesto – letteralmente – la ventilazione artificiale per evitare una morte prematura, con fallimenti di imprese a livello sistemico e disoccupazione alle stelle.

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Il premio Nobel per l’Economia Paul Samuelson si starà rigirando nella tomba nel vedere riproposte vecchie ricette economiche da lui archiviate sia sul piano logico sia pratico. Una tra tutte: il “pump-priming”, ovvero l’“adescamento” che si usava per attivare le vecchie pompe idrauliche, applicato al moltiplicatore fiscale. Secondo questa logica, le risorse che un governo mette in campo per stimolare la crescita attraverso spesa pubblica e investimenti possono innescare una crescita virtuosa che si auto alimenta al punto che i guadagni di pil e di gettito fiscale sarebbero sufficienti ad azzerare l’indebitamento aggiuntivo iniziale. Purtroppo, come appunto dimostrato da Samuelson, la spesa pubblica non ha questi effetti miracolosi. In sostanza, non c’è una via d’uscita dall’alto debito attraverso la spesa pubblica o lo stimolo alla domanda, sia pur per investimenti. E pur tuttavia, bisogna riconoscere che la situazione di oggi è particolare, e diversa dal passato per vari aspetti. Innanzitutto, l’economia mondiale ha attraversato una crisi senza precedenti, segnata al suo inizio da un improvviso arresto cardiaco che ha richiesto – letteralmente – la ventilazione artificiale per evitare una morte prematura, con fallimenti di imprese a livello sistemico e disoccupazione alle stelle.

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In circostanze così negative, la letteratura economica ci insegna che lo stimolo fiscale non solo è necessario, ma soprattutto è altamente efficace. Il “moltiplicatore”, che quantifica l’effetto sul reddito complessivo dell’aumento della  spesa  pubblica, non è una costante, ma varia e risulta particolarmente elevato nel corso di crisi economiche profonde. E’ questa una motivazione chiave per gli interventi immediati a debito messi in campo da quasi tutti i paesi nel mondo. Il moltiplicatore dipende anche dal tipo di spesa ed è più alto per gli investimenti pubblici. Anche se il Recovery fund entrerà in pista quando la situazione si sarà almeno in parte normalizzata rispetto a oggi, gli investimenti pubblici potrebbero ancora avere un impatto maggiore rispetto al passato, a causa di un ampio residuo di capacità inutilizzata sia sul lato del lavoro sia su quello del capitale. In secondo luogo, parte delle risorse messe in campo nell’Unione europea arriverà all’Italia come sovvenzioni, ovvero non peserà sui conti pubblici. Sono risorse che dovranno essere rimborsate soltanto nel lungo periodo attraverso il bilancio comunitario o la tassazione europea – e la quota per l’Italia sarà nettamente inferiore alle risorse ricevute. Un terzo elemento è rappresentato dal costo della parte finanziata a debito. Grazie al rating AAA dell’Unione europea, a una politica monetaria fortemente accomodante e agli acquisti di attività finanziarie da parte della Banca centrale europea, il pacchetto europeo permette al governo italiano di finanziarsi a tassi (nominali) vicini allo zero.

 

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Anche le emissioni nazionali beneficiano di spread limitati per scadenze molto lunghe. Attenzione però: un basso costo non garantisce affatto che gli investimenti pubblici abbiano un rendimento positivo. Un quarto elemento è che quasi tutti i paesi stanno facendo politiche simili all’Italia e all’Unione europea, e questo ne amplifica l’effetto di stimolo per le economie mondiali e probabilmente spingerà anche l’inflazione verso l’alto, almeno in via transitoria. Qui interviene l’ultimo elemento: la dichiarata volontà da parte delle banche centrali – e soprattutto recentemente da parte della Federal reserve – di non voler reagire preventivamente a tensioni inflattive, visto il lungo periodo di bassa crescita e bassa inflazione da cui veniamo, e il considerevole grado di incertezza che invita alla prudenza nei cambi di rotta. Mettendo tutto insieme, ci sono gli ingredienti per una ripresa economica che duri almeno qualche anno. Una situazione del genere è sostenibile solo perché è globale. Basta dunque solo spendere quattrini pubblici? Non proprio. I principi di una sana gestione finanziaria e le regole fondamentali per preservare la disciplina di bilancio non sono affatto cambiate. Per un periodo limitato, tuttavia, viene offerta un’opportunità e per questo si dovrebbe guardare alla sostenibilità del debito pubblico con occhi diversi. Non solo perché la Banca centrale europea continuerà a comprarlo, e quindi per definizione lo rende sostenibile. Ma soprattutto perché le attuali circostanze, mai realizzate in passato e forse irripetibili, danno modo di contare su una crescita nominale apprezzabile per qualche anno, in presenza di costi di finanziamento artificialmente bassi.

 

Questo può generare una dinamica virtuosa nel breve, ma deve tradursi in un percorso altrettanto virtuoso nel medio-lungo periodo – che è ciò che conta per chi investe in debito italiano, al di là dell’effetto anestetico dell’attuale politica monetaria. Cosa è dunque necessario? Gli investimenti pubblici dovrebbero tradursi in un aumento dello stock di capitale che riporti l’Italia su un sentiero di crescita apprezzabile anche nel lungo periodo il che implicherebbe anche maggiori entrate fiscali. Servono quindi progetti che innalzino la produttività dell’economia italiana e che diano risultati in tempi ragionevolmente brevi. Ma l’obiettivo di crescita non può essere raggiunto solo con investimenti. A questi si devono abbinare riforme coraggiose, che facilitino la ristrutturazione e la riallocazione delle risorse di cui l’Italia ha bisogno, ora più che mai, dopo lo shock del Covid. La spinta temporanea alla crescita offre l’opportunità di compensare almeno in parte i costi sociali di un riposizionamento virtuoso dell’Italia nell’economia globale – a conti fatti certamente minori dei costi sociali che si avrebbero con la prosecuzione del declino che è in corso da molti anni. Soltanto così Samuelson potrà dormire in pace, e con lui anche molti italiani che – vivi e vegeti – vogliono credere se non a un nuovo miracolo italiano, a un futuro in linea con le promesse del passato.

 

Lorenzo Codogno, London School of Economics

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Giancarlo Corsetti, University of Cambridge 

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