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Arcadia e utopia di Servigliano

Manuel Orazi

Una new town ante litteram commissionata da Papa Clemente XIV. Un borgo arcadico, utopistico e però reale

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Una delle più misconosciute utopie realizzate nell’età dei lumi si trova paradossalmente nel cuore delle Marche, al centro cioè dello Stato pontificio, reazionario per definizione. Eppure il “Settecento riformatore” aveva contagiato anche il papato, specie quelli romagnoli di Clemente XIV Ganganelli e Pio VI Braschi. Durante il pontificato del primo (1769-1774), uomo piuttosto deciso visto che fu lui a sopprimere l’ordine dei gesuiti, la piccola cittadina di Servigliano era già pressoché abbandonata perché il fenomeno del bradisismo aveva intaccato le fondamenta e la stabilità di tutti i palazzi del piccolo borgo vicino a Fermo.

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Una delle più misconosciute utopie realizzate nell’età dei lumi si trova paradossalmente nel cuore delle Marche, al centro cioè dello Stato pontificio, reazionario per definizione. Eppure il “Settecento riformatore” aveva contagiato anche il papato, specie quelli romagnoli di Clemente XIV Ganganelli e Pio VI Braschi. Durante il pontificato del primo (1769-1774), uomo piuttosto deciso visto che fu lui a sopprimere l’ordine dei gesuiti, la piccola cittadina di Servigliano era già pressoché abbandonata perché il fenomeno del bradisismo aveva intaccato le fondamenta e la stabilità di tutti i palazzi del piccolo borgo vicino a Fermo.

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Ecco allora che il Papa raccolse la supplica del nobile locale Giandomenico Iaffei incaricando l’architetto Virginio Bracci, allievo del Vanvitelli e accademico di San Luca, di progettare una new town ante litteram. Il sito pianeggiante posto accanto al fiume Tenna, non lontano da Monte Vidon Corrado (il paese del pittore Osvaldo Licini) e i 15.000 scudi stanziati dal Papa, hanno permesso di creare un impianto perfettamente rettangolare secondo lo schema classico con cardo, decumano e un foro centrale su cui affaccia la chiesa collegiata di San Marco.

 

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Alla fine del XVIII secolo le mura non erano più necessarie a scopi difensivi, ma qui restano come memoria geometrica e soluzione abitativa: è infatti sui lati che trovano posto le abitazioni per il ceto popolare (braccianti, piccoli negozianti, artigiani), murate verso l’esterno e aperte verso l’interno, mentre affacciano sulla piazza i palazzi nobiliari (Navarra, Filoni Vecchiotti) e quello pubblico del Gonfaloniere, che oggi è la sede del comune. Ci sono dunque solo tre porte, porta Clementina e porta Pia dedicate ai due papi che ne hanno permesso la costruzione e la finitura, e porta Santo Spirito.

 

In pochissimi anni, usando solo mattoni ricavati cuocendo l’argilla dei comuni limitrofi, Bracci ha disegnato uno spazio che è anche lo specchio di una società di antico regime a ceti rigidamente separati (popolo, nobiltà, clero) ma qui senza ghetti di sorta, tutti sono compresenti dentro il perimetro quadrangolare di Castel Clementino, nome che portò fino al 1866. I napoleonici fecero razzia nel 1799 della città che oppose loro resistenza, mentre i Savoia riportarono il nome a quello antico di Servigliano di origine romana per contrasto con lo stato pontificio, così come cambiarono il capoluogo regionale da Macerata in Ancona per disegnare un nuovo assetto territoriale.

 

Resta oggi l’utopia classica di Servigliano, cioè platonica e contemplativa ottenuta sostando sulle sue panche o passeggiando lungo i suoi lati continui costruiti negli stessi anni in cui Kant teneva le sue regolarissime passeggiate a Königsberg, così diversa cioè dalle utopie successive post-illuministiche che invece perseguirono un disegno politico di salvezza sociale, alla base sia delle utopie moderniste (Antonio Sant’Elia, Le Corbusier) sia delle distopie totalitarie (Auschwitz, gulag).

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Il grande storico dell’arte e dell’architettura Colin Rowe, inglese innamorato del Rinascimento italiano, distingueva appunto fra utopie classiche e attivistiche, preferendo naturalmente le prime e nei suoi ultimi anni solitari trascorsi a Roma avrebbe sempre voluto visitare questo borgo al contempo arcadico, utopistico e però reale, come un filosofo peripatetico alla ricerca della verità.

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