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L’operazione su Borsa Italiana pone domande serie sul futuro di Cdp

Franco Debenedetti

Che senso ha investire comprando quote della Borsa dove le sue partecipazioni saranno quotate? C’entra per caso il Copasir?

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In Italia seicentoquaranta sono, nel catalogo di Leporello, le “belle che amò” Don Giovanni. Sono invece solo 368 le società per azioni quotate alla Borsa di Milano, per un valore complessivo di €532mld. Il tema della Borsa italiana è ritornato di attualità dopo che l’Ue ha imposto al London Stock Exchange di alienarla, se vuole proseguire la sua fusione con Refinitiv, la società di piattaforme tecnologiche controllata da Blackstone e Reuters. La soluzione al momento più probabile è quella ibrida, metà fusione con una grande Borsa, la francese Euronext metà ri-nazionalizzazione, con Cdp e Banca Intesa. Con €532mld di capitalizzazione, Borsa Italiana vale circa l’1% del Pil mondiale, mentre il nostro Pil ne è il 2,4%. Questo è il punto: qual è la ragione di questo sottodimensionamento? Ri-nazionalizzarla sotto l’egida di CDP è la strada più giusta per dotare il nostro sistema di imprese di uno strumento di finanziamento più adeguato? C’è entrato in qualche modo anche l’interesse il Copasir, diventato, sotto la presidenza della Lega, una sorta di ufficio di pianificazione economica? Molte e rilevanti sono le aziende italiane che hanno preferito quotarsi all’estero: Luxottica-Essilor, Ansaldo, Parmalat, Damiani, Vittoria Assicurazioni, Beni Stabili, Nice, Italiaonline, GEDI. Sarà perché ritengono di trovare altrove una più ampia scelta di servizi professionali: ma io credo che sia anche perché trovano conveniente avere accesso a un mercato dei capitali più ampio, autenticamente più ampio. Infatti delle 368 società quotate in Italia solo 345 sono private, per una capitalizzazione di €331mld (su 532), il resto essendo costituto da società controllate dallo Stato.

 

La partecipazione dello Stato rende queste società diverse: comprensibile l’interesse delle imprese private ad evitare la presenza dello Stato, già così ingombrante nel mercato di merci e servizi, almeno in quello dei capitali, e presso gli organi di vigilanza. Ci sono poi le “scatole cinesi”, cioè i gruppi piramidali, sistema largamente in voga presso il nostro “capitalismo senza capitali” per bloccare il controllo: certo che non ha attirato i risparmiatori, che vedono nelle piramidi, magari quotate a diversi piani, un modo per estrarre beneficio privato dal controllo. D’altro canto, sono evidenti i vantaggi di un mercato più ampio di servizi, che offra un orizzonte più vasto ai risparmiatori, che vengono ad avere un più ampio ventaglio di scelte di investimento, e alle imprese, che possono attingere a un pool più vasto di investitori. Proprio la fusione del London Stock Exchange con Refinitiv indica qual è la strada, investire per disporre di maggiori quantità di dati e per dotarsi delle tecnologie per elaborarli. Euronext ha la dimensione per seguire questa strada. Per Banca Intesa è probabilmente un buon affare. Ma CDP? La sua funzione è fare investimenti che altri non farebbero e che aumentino la produttività del Paese. Le nuove partecipazioni statali valgono già tre volte di più delle aziende private e dominano nei servizi e nell’energia: e c’è una lunga lista di aziende attualmente o potenzialmente candidate. La fusione con una grande borsa europea dovrebbe semmai esser vista da CDP come opportunità per alleggerire le posizioni: che senso c’è invece di investire anche a monte, comprando quote della Borsa dove le sue partecipazioni saranno quotate? Aprirsi a un mercato più ampio e, in prospettiva, tecnologicamente più dotato, è un'opportunità di cambiamento per le aziende italiane. Per quelle controllate da CDP e per la CDP che le controlla.

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