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La truffa politica nascosta dietro all’aumento delle accise sul gasolio

Carlo Stagnaro

Puntare i sussidi “ambientalmente dannosi” vuol dire alzare le tasse. Perché al settore auto servirebbe un taglio delle accise

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Il 2021 potrebbe portare una brutta sorpresa agli automobilisti (ed elettori) italiani: l’aumento delle accise sul gasolio auto. La proposta, lanciata dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, sembra fare proseliti. Il nome in codice – ribadito anche da Roberto Gualtieri nell’intervista al Foglio di martedì scorso – è “eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi”. E chi potrebbe mai essere contrario? I sussidi ambientalmente dannosi sono censiti in un catalogo annuale del ministero dell’Ambiente (Mattm). L’ultima edizione, rilasciata nel 2019, contiene centinaia di voci, per un totale di circa 19 miliardi di euro. La più importante si riferisce proprio al differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio: le accise sono, rispettivamente, pari a 617,4 e 728,4 euro ogni mille litri. Agli attuali livelli di consumo, la parificazione del prelievo fiscale garantirebbe – secondo il Mattm – entrate addizionali attorno ai 4,9 miliardi. Per questo, Costa propone di far crescere gradualmente il prelievo sul gasolio, a partire dal 2021, per arrivare a un livellamento nel 2030.

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Il 2021 potrebbe portare una brutta sorpresa agli automobilisti (ed elettori) italiani: l’aumento delle accise sul gasolio auto. La proposta, lanciata dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, sembra fare proseliti. Il nome in codice – ribadito anche da Roberto Gualtieri nell’intervista al Foglio di martedì scorso – è “eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi”. E chi potrebbe mai essere contrario? I sussidi ambientalmente dannosi sono censiti in un catalogo annuale del ministero dell’Ambiente (Mattm). L’ultima edizione, rilasciata nel 2019, contiene centinaia di voci, per un totale di circa 19 miliardi di euro. La più importante si riferisce proprio al differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio: le accise sono, rispettivamente, pari a 617,4 e 728,4 euro ogni mille litri. Agli attuali livelli di consumo, la parificazione del prelievo fiscale garantirebbe – secondo il Mattm – entrate addizionali attorno ai 4,9 miliardi. Per questo, Costa propone di far crescere gradualmente il prelievo sul gasolio, a partire dal 2021, per arrivare a un livellamento nel 2030.

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Purtroppo, l’intera manovra poggia su un presupposto fragile: nel linguaggio comune, e anche nel gergo degli economisti, per “sussidio” si intende un trasferimento di denari. Chi guida un veicolo diesel non beneficia di alcun regalo: semplicemente, paga un po’ meno tasse rispetto a chi ha un mezzo a benzina. Neppure vale l’argomento che le imposte versate non bastano a controbilanciare le esternalità negative. Come mostra Francesco Ramella in uno studio per Bridges Research, la fiscalità coi carburanti estrae un multiplo del danno ambientale da essi causato. Peraltro, questo squilibrio è alla base dell’analisi costi-benefici che, sotto il governo Conte 1, bocciò la Tav: un’analisi accolta a braccia aperte da Costa. Come è possibile che lo stesso ministro sostenga che la tassazione dei carburanti è eccessiva quando serve a bloccare un’infrastruttura sgradita, e poi abbracci la tesi opposta per colpire ulteriormente i contribuenti?

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Un lettore superficiale potrebbe appellarsi all’aggiornamento al “Manuale dei costi esterni nel settore dei trasporti” della Commissione europea, secondo il quale le accise coprono solo in parte i costi esterni. In realtà, tale stima non si limita alle esternalità ambientali, ma tiene conto anche degli effetti della congestione e dell’usura delle infrastrutture stradali. Questi problemi, indubbiamente seri e reali, prescindono dalle motorizzazioni adottate: il contributo al traffico di un’auto elettrica è identico a quello di un veicolo a gasolio. Quindi, non può essere ridotto tassando solo quest’ultima, ma richiede misure di segno diverso, come per esempio il potenziamento del trasporto pubblico o l’adozione di meccanismi di pedaggio o di congestion charge. E’ vero, tuttavia, che non c’è particolare giustificazione nella disparità di trattamento tra benzina e gasolio. In modo diverso, essi determinano conseguenze indesiderabili: l’una emette maggiori volumi di CO2, l’altro particolato e altri inquinanti locali. In entrambi i casi l’impatto si è drammaticamente ridotto grazie a standard sempre più restrittivi per le nuove immatricolazioni e alla crescente quota di biocarburanti introdotta in miscela.

 

Forse non c’è sussidio, ma distorsione nei comportamenti di consumo sì. Se dunque pareggiare le accise può avere senso, non si capisce perché debba avvenire necessariamente al rialzo: tanto più che l’Italia già oggi è al secondo posto in Europa per l’esosità del prelievo. Se il Governo vuole correggere le cose, può farlo abbassando le accise sulla benzina al livello del gasolio, oppure individuando un livello intermedio verso cui convergere. Sarebbe una riforma nel segno dell’equità, e senza intenti punitivi, a differenza di quella immaginata da Costa e, all’apparenza, condivisa da Gualtieri. Il preteso sussidio sta nell’occhio di chi guarda: giocare sull’ambiguità delle parole, nell’anno in cui il Pil subisce il più grande crollo di sempre in tempo di pace, non ha senso né economico, né ambientale, né politico.

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