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Mediaset, più idee e meno scudi

La caduta della “Gasparri” costringe a confrontarsi col corsaro Bolloré

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Smontato il tentativo di usare un mix tra diritto olandese e legge Gasparri per fermare lo straniero, Mediaset si trova protetta da scalate rapide e ostili solo da quella specie di scudo apprestato in fretta e furia da Carlo Calenda durante i suoi mesi finali al ministero dello Sviluppo economico e sul quale si verificò la convergenza di grandissima parte dello spettro politico nazionale, compresa quindi ovviamente quella sinistra che dell’antiberlusconismo e delle emozioni da non interrompere e della par condicio e fate voi cos’altro aveva fatto bandiere da issare sulle proprie sedi. Insomma una specie di fraternità d’Italia collettiva, tutti stretti, con spirito autarchico però mal portato, attorno alle società col tricolore (quello col verde e non quello col blu vicino al bianco e al rosso).

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Smontato il tentativo di usare un mix tra diritto olandese e legge Gasparri per fermare lo straniero, Mediaset si trova protetta da scalate rapide e ostili solo da quella specie di scudo apprestato in fretta e furia da Carlo Calenda durante i suoi mesi finali al ministero dello Sviluppo economico e sul quale si verificò la convergenza di grandissima parte dello spettro politico nazionale, compresa quindi ovviamente quella sinistra che dell’antiberlusconismo e delle emozioni da non interrompere e della par condicio e fate voi cos’altro aveva fatto bandiere da issare sulle proprie sedi. Insomma una specie di fraternità d’Italia collettiva, tutti stretti, con spirito autarchico però mal portato, attorno alle società col tricolore (quello col verde e non quello col blu vicino al bianco e al rosso).

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Lo strumento è il citatissimo “golden power”, in sostanza lo smontaggio delle leggi della democrazia azionaria in nome del peso maggiore delle partecipazioni pubbliche, qualora sorrette da un interesse strategico nazionale. A rafforzarlo c’è poi il ruolo sempre più politicizzato, nel senso di ispirato alle scelte governative, della Cassa depositi e prestiti, usata come società di partecipazioni, tutte di peso a prescindere dall’entità assoluta, perché sostenute dalla forza finanziaria dell’istituzione.

 

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Solo che la strategicità è un po’ come certe esimenti dal lavoro nel pubblico impiego: si comincia riconoscendola a chi la merita e poi, di richiesta in richiesta, di pressione in pressione, si estende ai quasi meritevoli e poi salta l’argine e si raggiungono pressoché tutte le società. Di volta in volta sono strategici i servizi, le reti (e va bene), l’agroalimentare, il credito, la finanza. E figuriamoci allora editoria e broadcasting.

 

E chi li ferma gli strateghi se c’è di mezzo nientemeno che la produzione di cultura nazionale, per quanto sia, e di informazione. L’ex ministro a forza di giocare a fare lo scafato, di atteggiarsi a realista che si sporca le mani, ha finito per benedire tutte le strategicità e per fare un dispetto, nel medio termine, proprio alle aziende che voleva tutelare, sottraendole agli stimoli e ai segnali del mercato finanziario. In buona compagnia, s’intende, perché né i suoi predecessori né i successori hanno mai espresso linee fortemente diverse. Poi però esistono anche altri argomenti, sia pure meno calendiani.

 

Si potrebbe osservare che Mediaset si è imbarcata nell’avventura europea e nel passaggio nei Paesi Bassi ritenendosi ben coperta rispetto alla pur ingente quota azionaria di Vivendi. Viaggiando con sfrontatezza ai limiti della contraddizione rafforzava la posizione in Spagna (ottimi gli ultimi risultati della controllata), acquistava quote rilevanti di ProSiebenSat in Germania, proponeva altre occasioni di shopping e di partecipazione, e intanto si tutelava dallo straniero (europeo) in casa. E va bene che Vincent Bolloré non ha la fama del tenerone e neppure dello sviluppatore di aziende, però rendersi non scalabili per definizione – per quanto un’Opa sia improbabile – non ha mai fatto bene a nessuno, e gli stimoli per nuovi business e per nuove idee, in un’azienda la cui visione strategica (eccola di nuovo la strategia) appare ferma da anni se non addirittura involuta, possono anche arrivare dagli uomini e dalle donne che lavorano con il corsaro bretone. Fare moralismo sulle intenzioni e alzare il ditino sui pedigree imprenditoriali altrui da parte di chi ha avuto il merito di smontare, con altrettanta e sana guasconaggine, un monopolio storico e politicamente blindato come quello della Rai non suona bene.

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Poi esiste anche la voce degli altri azionisti, magari interessati alla valorizzazione del titolo, magari anche, ’sti maleducati, nel breve periodo. Allora, tanto per proporre una strategia alternativa, invece di rannicchiarsi sotto al golden power e a Cdp si potrebbe provare a ragionare con questi francesi, sì, mannaggia, proprio quelli che vengono dal paese odiato dai sovranisti che intasano gli studi televisivi, e invece di mettersi il gilet giallo provare con altri abiti e con altri argomenti, con idee sulla produzione di contenuti per l’Europa e sulle trasformazioni del broadcasting sotto i colpi delle reti veloci. Se non bastano le idee servono i soldi, come da regola del mercato. Idee e soldi, non scudi, s’il vous plait.

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