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Innovazione, capitale umano. La giusta linea di Visco contro il declino

Luciano Capone

Scarsa istruzione, nanismo delle imprese, bassa produttività. “Invertiamo il circolo vizioso”, dice il governatore di Bankitalia

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Roma. Alfred Marshall, uno dei padri dell’economia moderna, scriveva che “il capitale di maggior valore è quello investito sugli esseri umani”. Più tardi, negli anni 60, il premio Nobel per l’economia Gary Becker ha sviluppato questa riflessione introducendo il concetto di “capitale umano”, definito in maniera suggestiva come una forma di capitale “incarnato nelle persone”, nel senso che non si può separare un individuo delle sua conoscenze, dalle sue esperienze o dal suo stato di salute. E’ una determinante fondamentale dello sviluppo economico (e quindi umano) nelle economie moderne, e soprattutto di quelle che scarseggiano di risorse naturali come l’Italia. Insomma, il nostro vero petrolio siamo noi stessi.

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Roma. Alfred Marshall, uno dei padri dell’economia moderna, scriveva che “il capitale di maggior valore è quello investito sugli esseri umani”. Più tardi, negli anni 60, il premio Nobel per l’economia Gary Becker ha sviluppato questa riflessione introducendo il concetto di “capitale umano”, definito in maniera suggestiva come una forma di capitale “incarnato nelle persone”, nel senso che non si può separare un individuo delle sua conoscenze, dalle sue esperienze o dal suo stato di salute. E’ una determinante fondamentale dello sviluppo economico (e quindi umano) nelle economie moderne, e soprattutto di quelle che scarseggiano di risorse naturali come l’Italia. Insomma, il nostro vero petrolio siamo noi stessi.

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Ma l’Italia ha purtroppo da tempo ha dedicato impegno e risorse ad altro e per questo è in grande affanno. E’ questo il punto fondamentale del discorso che governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha tenuto per l’Euro science open forum (Esof 2020) di Trieste: i “ritardi cruciali nel campo della conoscenza” in italia si sono tradotti “nella lenta crescita del prodotto interno lordo che abbiamo osservato negli ultimi 30 anni”. La pandemia ha riportato il pil italiano indietro di 30 anni, ai valori di fine anni 80: in tre mesi l’economia è crollata più che durante la doppia recessione 2008-2013, che già era stato il peggior crollo in tempo di pace dall’unità d’Italia. Ma la pandemia c’è stata anche nel resto del mondo, e tra i paesi sviluppati “nessuno ha registrato un tale enorme balzo indietro, perché la crescita passata è stata molto più robusta” in Germania, Stati Uniti, Francia o Spagna. L’emergenza contingente si è abbattuta su una crisi strutturale. Insomma, in Italia il Covid ha colpito un’economia che aveva già patologie pregresse.

 

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I dati descritti e mostrati nelle slide da Visco sono impressionanti: l’Italia spende in ricerca e sviluppo meno della media Ocse e la metà rispetto a paesi come Stati Uniti e Germania; investe in maniera insufficiente in istruzione; nei confronti internazionali sulle competenze in scienze, lettura e matematica gli studenti italiani di 15 anni finiscono sotto alla media Ocse (con un divario enorme tra nord e sud). Tutto questo si intreccia con un sistema produttivo formato prevalentemente da piccole imprese, che investono poco in ricerca e richiedono meno manodopera istruita o specializzata.

  

“È necessario un grande sforzo collettivo per invertire questo circolo vizioso”, dice Visco. Che vuol dire anche sfatare una serie di miti e luoghi comuni tutti italiani, a partire dal “piccolo è bello”. Non è così. Le grandi imprese italiane sono spesso più produttive delle corrispondenti imprese tedesche e francesi”, ma ce ne sono poche. In un contesto di globalizzazione dei mercati e di crescente importanza della conoscenza, il paese ha perso l’autonoma capacità di innovare (il “dinamismo” di cui parla il premio Nobel Edmund Phelps nel suo ultimo libro) e di investire nel capitale umano. La manifestazione più evidente è la stagnazione della produttività che “è l’ingrediente chiave per lo sviluppo economico”. “L’urgenza dei problemi posti dalla pandemia – avverte Visco – non dovrebbe farci perdere di vista questa questione di lungo termine”. È un invito ad alzare lo sguardo per individuare le vere priorità nell’uso del Recovery fund, ma al momento gli occhi della politica sono ancora rivolti al proprio ombelico.

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