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Editoriali

Il Mef e i conti con il mercato

Redazione

I casi Aspi e Mps mostrano che non si possono ignorare gli investitori

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Nei due principali dossier in cui il Mef è impegnato in questi giorni, e cioè Autostrade-Atlantia e Monte dei paschi di Siena (Mps), il ministero di Roberto Gualtieri è chiamato a fare i conti con il mercato inteso come la comunità degli investitori finanziari che potrebbero essere coinvolti, anzi, che si auspica di coinvolgere, proprio per condurre a buon fine le operazioni. Ma far quadrare il cerchio con un occhio agli obiettivi politici e l’altro al mercato, chiamato a condividerne i costi, non è cosa facile. Al di là degli auspici, l’intesa tra la Cassa depositi e prestiti e Atlantia sulla scissione della società autostradale (Aspi), come soluzione per superare il contenzioso scaturito dopo il crollo del ponte Morandi, è tutt’altro che scontata. Restano alcuni nodi irrisolti, tra i quali quello del debito appare il più insidioso. Scaricare una zavorra di 4-5 miliardi sulla nuova società (Autostrade concessioni e costruzioni spa) per poi portarla in Borsa non è esattamente un’operazione di mercato, o, almeno, non è tanto “market friendly”. Certo, molto dipenderà da quale sarà, a fronte di tanto debito, il valore dell’attivo patrimoniale della nuova società (in particolare, dei cosiddetti asset intangible), ma nel complesso chi ne dovesse sottoscrivere le azioni nell’ambito di un’ipotetica quotazione presterebbe sicuramente molta attenzione a questo aspetto.

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Nei due principali dossier in cui il Mef è impegnato in questi giorni, e cioè Autostrade-Atlantia e Monte dei paschi di Siena (Mps), il ministero di Roberto Gualtieri è chiamato a fare i conti con il mercato inteso come la comunità degli investitori finanziari che potrebbero essere coinvolti, anzi, che si auspica di coinvolgere, proprio per condurre a buon fine le operazioni. Ma far quadrare il cerchio con un occhio agli obiettivi politici e l’altro al mercato, chiamato a condividerne i costi, non è cosa facile. Al di là degli auspici, l’intesa tra la Cassa depositi e prestiti e Atlantia sulla scissione della società autostradale (Aspi), come soluzione per superare il contenzioso scaturito dopo il crollo del ponte Morandi, è tutt’altro che scontata. Restano alcuni nodi irrisolti, tra i quali quello del debito appare il più insidioso. Scaricare una zavorra di 4-5 miliardi sulla nuova società (Autostrade concessioni e costruzioni spa) per poi portarla in Borsa non è esattamente un’operazione di mercato, o, almeno, non è tanto “market friendly”. Certo, molto dipenderà da quale sarà, a fronte di tanto debito, il valore dell’attivo patrimoniale della nuova società (in particolare, dei cosiddetti asset intangible), ma nel complesso chi ne dovesse sottoscrivere le azioni nell’ambito di un’ipotetica quotazione presterebbe sicuramente molta attenzione a questo aspetto.

    

In modo diverso, gli investitori privati chiamati a sottoscrivere la prima delle due emissioni subordinate imposte dalla Bce per sostenere il processo di riprivatizzazione di Mps sono accorsi sì numerosi, ma perché allettati da un tasso d’interesse stellare (8,5 per cento) che li ripaga di un rischio elevato. Tant’è che alcuni analisti, di fronte a un costo per interessi che potrebbe diventare esorbitante con la seconda emissione, sostengono che per il Mef sarebbe più conveniente promuovere un’asta pubblica al ribasso per uscire dall’istituto senese entro il 2021. Insomma, i conti con il mercato si devono fare sempre ed è la sfida più ardua quando in un governo ci sono forze che per motivi di consenso spingono in altra direzione, salvo poi invocare i capitali privati per tirarsi fuori da guai.

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