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Mediasendi

Perché la sentenza su Mediaset riscrive le regole del gioco

Stefano Cingolani

La Corte europea dà ragione a Vivendi. Una sentenza di rottura per il settore delle telecomunicazioni che ridefinisce gli equilibri Berlusconi-Bolloré

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Roma. La Corte di giustizia dell’Ue ha dato uno scossone all’intero assetto italiano delle telecomunicazioni. Con la sentenza di ieri ha stabilito che “è contraria al diritto dell’Unione” la disposizione del 2017 con la quale l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in base alla legge Gasparri, ha bloccato l’acquisizione del 28 per cento di Mediaset da parte di Vivendi. Per i giudici la norma “costituisce un ostacolo vietato alla libertà di stabilimento, in quanto non è idonea a conseguire l’obiettivo della tutela del pluralismo dell’informazione”. La violazione riguarda in particolare l’articolo 49 del Tfue (il Trattato sul funzionamento dell’Ue) che proibisce, appunto, “qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal trattato”. E questo, secondo i giudici, “è il caso della normativa italiana che vieta a Vivendi di mantenere le partecipazioni che essa aveva acquisito in Mediaset”. Il fatto che il gruppo francese detenga quasi un terzo delle azioni Mediaset e sia al contempo primo azionista di Tim con il 23,94 per cento non rappresenta un ostacolo al pieno esercizio dei poteri e diritti proprietari. La Corte ricorda che l’Unione “stabilisce una chiara distinzione tra la produzione di contenuti e la loro trasmissione. Pertanto, le imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, che esercitano un controllo sulla trasmissione dei contenuti, non esercitano necessariamente un controllo sulla produzione di tali contenuti”. I tetti della Gasparri non hanno più valore. E’ davvero una sentenza di rottura che indurrà anche governo e Parlamento italiano a rimettere mano a una regolamentazione ormai superata. Ma è chiaro che colloca su un terreno diverso l’intero risiko delle tlc. Vivendi potrebbe chiedere un’assemblea straordinaria, ma aspetta le mosse di Mediaset che nel suo comunicato cerca un rilancio sostenendo che a questo punto diventa possibile anche per il gruppo della famiglia Berlusconi entrare nel campo delle telecomunicazioni.

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Roma. La Corte di giustizia dell’Ue ha dato uno scossone all’intero assetto italiano delle telecomunicazioni. Con la sentenza di ieri ha stabilito che “è contraria al diritto dell’Unione” la disposizione del 2017 con la quale l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in base alla legge Gasparri, ha bloccato l’acquisizione del 28 per cento di Mediaset da parte di Vivendi. Per i giudici la norma “costituisce un ostacolo vietato alla libertà di stabilimento, in quanto non è idonea a conseguire l’obiettivo della tutela del pluralismo dell’informazione”. La violazione riguarda in particolare l’articolo 49 del Tfue (il Trattato sul funzionamento dell’Ue) che proibisce, appunto, “qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal trattato”. E questo, secondo i giudici, “è il caso della normativa italiana che vieta a Vivendi di mantenere le partecipazioni che essa aveva acquisito in Mediaset”. Il fatto che il gruppo francese detenga quasi un terzo delle azioni Mediaset e sia al contempo primo azionista di Tim con il 23,94 per cento non rappresenta un ostacolo al pieno esercizio dei poteri e diritti proprietari. La Corte ricorda che l’Unione “stabilisce una chiara distinzione tra la produzione di contenuti e la loro trasmissione. Pertanto, le imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, che esercitano un controllo sulla trasmissione dei contenuti, non esercitano necessariamente un controllo sulla produzione di tali contenuti”. I tetti della Gasparri non hanno più valore. E’ davvero una sentenza di rottura che indurrà anche governo e Parlamento italiano a rimettere mano a una regolamentazione ormai superata. Ma è chiaro che colloca su un terreno diverso l’intero risiko delle tlc. Vivendi potrebbe chiedere un’assemblea straordinaria, ma aspetta le mosse di Mediaset che nel suo comunicato cerca un rilancio sostenendo che a questo punto diventa possibile anche per il gruppo della famiglia Berlusconi entrare nel campo delle telecomunicazioni.

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Lo ha già fatto Sky che ormai offre i suoi collegamenti internet. Può aprirsi la porta al progetto del quale si parla da tempo, cioè un’alleanza, se non proprio una fusione, tra Tim e Mediaset con un ruolo chiave del gruppo francese che fa capo a Vincent Bolloré. La partita si gioca in questo caso nel campo dei contenuti e non cambierebbe il processo di costruzione della rete unica al quale Vivendi è favorevole. Anzi, una Tim sgravata in parte della infrastruttura sarebbe adatta a costruire un “campione nazionale” (o meglio franco-italiano) mettendo insieme tv e internet. Quanto alla Netflix europea immaginata da Bolloré, può prendere corpo se Vivendi partecipa al progetto avviato da Mediaset anziché ostacolarlo come ha fatto finora. Ciascuno dei protagonisti ha, insomma, il suo piano B, in vista del disgelo che potrebbe venire da un incontro tra Pier Silvio Berlusconi e Arnaud de Puyfontaine. Mediaset, però, dovrebbe rinunciare alla richiesta di tre miliardi di euro come risarcimento per la mancata acquisizione di Premium, e allo stato attuale non è detto che ciò accadrà.

    

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Tutto comincia nel 2016 quando il gruppo francese, dopo aver rotto l’accordo per la pay tv Mediaset Premium, conquista il 28,8 per cento di Mediaset per un totale di quasi un terzo (29,94 per cento) dei diritti di voto nell’assemblea degli azionisti. La società del biscione si rivolge all’Agcom accusando Vivendi di aver violato la legge Gasparri che “allo scopo di salvaguardare il pluralismo dell’informazione, vieta a qualsiasi società i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche” superiori al “40 per cento dei ricavi complessivi di tale settore” e di conseguire “ricavi superiori al 10 per cento di quelli del sistema medesimo in Italia”, come nel caso di Vivendi. L’Agcom aveva accolto la tesi di Mediaset, Vivendi ha fatto appello al Tribunale amministrativo del Lazio che, pur imponendo il trasferimento a una società terza del 19,19 per cento delle azioni Mediaset acquisite da Vivendi, si è rivolto alla Corte di giustizia dell’Ue. La risposta adesso è netta, non ci sono più scappatoie, anche l’Italia dovrà accettare le regole del gioco.

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