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Segnali di ripresa in Italia e Ue, ma la crescita dipenderà dai privati

Mariarosaria Marchesano

L’indice Ihs/Pmi manifatturiero italiano sale a 53,1 (record da due anni). “Ora l’Italia usi i soldi Ue per i problemi strutturali”

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Milano. Il manifatturiero italiano rimbalza, anche di più rispetto alla media del’Eurozona, e riaccende le speranze di una ripresa rapida dal crollo del pil registrato nel secondo trimestre (-12,8 per cento). L’aspetto più interessante, che ha fatto esultare il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, è che l’indice Ihs-Pmi di agosto non è mai stato così alto da 26 mesi (53,1), quindi da molto prima del Covid.

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Milano. Il manifatturiero italiano rimbalza, anche di più rispetto alla media del’Eurozona, e riaccende le speranze di una ripresa rapida dal crollo del pil registrato nel secondo trimestre (-12,8 per cento). L’aspetto più interessante, che ha fatto esultare il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, è che l’indice Ihs-Pmi di agosto non è mai stato così alto da 26 mesi (53,1), quindi da molto prima del Covid.

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In realtà, il dato andrebbe letto in una prospettiva più ampia che, come spiega al Foglio l’economista di Oxford Andrea Ferrero, tenga conto del fatto che la crisi sanitaria è tuttora in atto, il che rende impossibile qualsiasi previsione su ciò che succederà in autunno, sulle aziende che potrebbero aver evaso soprattutto gli ordini accumulati durante il lockdown e sull’andamento degli altri paesi visto che a calare sotto lo spartiacque dei 50 punti sono Francia e Spagna mentre la Germania è in recupero e, a sorpresa, la Gran Bretagna, anche se non fa più parte dell’Unione europea, registra il dato più elevato (55,2).

 

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“Nel complesso si tratta di un segnale molto positivo che conferma l’idea che l’Eurozona è sulla strada giusta – osserva Ferrero –. Anzi, personalmente sono sorpreso dei passi in avanti che nel giro di pochi mesi sono stati fatti dall’Europa che, nonostante alcune dinamiche schizofreniche, sta vivendo un momento di coesione e solidarietà e sta dimostrando di saper gestire la crisi sanitaria in modo più ordinato rispetto, per esempio, agli Stati Uniti e anche alla stessa Gran Bretagna. Questo cambio di percezione che sta registrando anche l’opinione pubblica inglese rende datata una certa retorica di un’Europa disfunzionale e divisa, che poi è stato il terreno fertile su cui è cresciuta l’idea della Brexit”.

 

Insomma, dal punto di osservazione di chi è quasi fuori dall’Ue e che oggi teme, come dice Ferrero, che all’effetto di un’uscita traumatica da un sistema economico e di regole si aggiunga quello della pandemia, si staglia uno scenario che si sta evolvendo in modo positivo sotto l’ombrello di Bruxelles ma in cui non mancano punti di incertezza. Due soprattutto. Il primo riguarda le politiche economiche dei governi e l’utilizzo qualitativo del Recovery fund sul quale sono concentrate le attese di ripresa per il 2021. “A mio avviso c’è una tendenza un po’ troppo marcata all’intervento degli stati nell’economia e questo fenomeno è visibile soprattutto in Italia che, invece, dovrebbe approfittare delle risorse addizionali per superare carenze strutturali come la bassa crescita produttiva e l’invecchiamento della popolazione – dice l’economista –. La qualità della spesa farà la differenza nella ripresa economica dei vari paesi e, secondo me, sarà più solida laddove verrà incentivato lo sviluppo di iniziative private. Un segnale di dinamismo come quello mostrato dal settore manifatturiero dovrebbe essere colto da chi ha in mano le redini della politica economica del paese”. Insomma, il rischio che dalle ceneri della crisi Covid rinasca un’Italia più statalizzata è concreto, secondo Ferrero.

 

Il secondo punto d’incertezza sullo scenario europeo riguarda, invece, il ruolo della politica monetaria. La svolta storica della Fed che ha aperto alla possibilità di lasciare bassi i tassi d’interesse anche se l’inflazione dovesse superare il 2 per cento mette una certa pressione sulla Bce che sul punto sta ragionando dai tempi di Mario Draghi senza, però, arrivare a infrangere un tabù. “Difficile che la Bce arrivi a seguire le orme della Fed sul fronte dell’inflazione poiché non c’è abbastanza omogeneità nel consiglio direttivo in cui si riflettono le divisioni tra blocchi di paesi che si sono viste anche per arrivare all’intesa sul Recovery fund e nell’attacco alle politiche di Quantitive easing da parte di alcune istituzioni tedesche”.

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