PUBBLICITÁ

“Per il sud il governo ripropone ciò che non ha funzionato”. Parla Nicola Rossi

Luciano Capone

Decontribuzione e fondi speciali: “Il rischio è che il piano Next generation si trasformi in un piano Next election. E' il bonus mezzogiorno". La versione dell'economista

PUBBLICITÁ

 “Il timore è che il piano europeo Next generation venga interpretato come un piano Next election, soprattutto al Mezzogiorno”. Nicola Rossi, economista dell’Università di Roma Tor Vergata e punto di riferimento della sinistra negli anni in cui cercava la sua svolta liberal-riformista, con una battuta che ribalta il motto degasperiano commenta la politica per il Meridione della maggioranza rossogialla. Il governo ha infatti introdotto una decontribuzione del 30 per cento per le aziende che operano nel Mezzogiorno, al momento per gli ultimi tre mesi del 2020 e in prospettiva per i prossimi dieci anni previa autorizzazione europea. E’ una misura positiva? “Quando viene assunta una misura ‘adesso temporanea’ non ci si può aspettare alcunché. Naturalmente chi già opera ora ha un vantaggio interessante e, più in generale, ridurre il peso contributivo è opportuno in tutta Italia. Ma non ci si può aspettare nulla di significativo sui nuovi investimenti sulla base di una misura di tre mesi”. Il provvedimento è stato annunciato come una svolta. “In realtà è nell’ottica delle cose fatte nell’ultimo anno, misure tampone che rinviano il problema. E’ una sorta di ‘bonus Mezzogiorno’”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


 “Il timore è che il piano europeo Next generation venga interpretato come un piano Next election, soprattutto al Mezzogiorno”. Nicola Rossi, economista dell’Università di Roma Tor Vergata e punto di riferimento della sinistra negli anni in cui cercava la sua svolta liberal-riformista, con una battuta che ribalta il motto degasperiano commenta la politica per il Meridione della maggioranza rossogialla. Il governo ha infatti introdotto una decontribuzione del 30 per cento per le aziende che operano nel Mezzogiorno, al momento per gli ultimi tre mesi del 2020 e in prospettiva per i prossimi dieci anni previa autorizzazione europea. E’ una misura positiva? “Quando viene assunta una misura ‘adesso temporanea’ non ci si può aspettare alcunché. Naturalmente chi già opera ora ha un vantaggio interessante e, più in generale, ridurre il peso contributivo è opportuno in tutta Italia. Ma non ci si può aspettare nulla di significativo sui nuovi investimenti sulla base di una misura di tre mesi”. Il provvedimento è stato annunciato come una svolta. “In realtà è nell’ottica delle cose fatte nell’ultimo anno, misure tampone che rinviano il problema. E’ una sorta di ‘bonus Mezzogiorno’”.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Il governo però, secondo quanto annunciato dal ministro per il Sud Peppe Provenzano, vuole farla diventare una misura strutturale: una decontribuzione decennale a scalare affiancata da un piano di investimenti e riforme per migliorare il contesto istituzionale ed economico, per portare alla fine del decennio il Mezzogiorno ai livelli del centro-nord. E’ un piano ambizioso. “C’è una prima difficoltà. Se l’idea è di finanziare questa operazione con le risorse europee, temo che la fiscalizzazione dei contributi potrebbe non essere in linea con ciò che l’Europa ha in mente quando stanzia il Recovery fund”. E poi? “Una volta risolto il problema delle risorse, bisogna chiedersi se queste politiche funzionano. Sicuramente nel Mezzogiorno c’è un eccessivo costo del lavoro, ma non si investe soprattutto per motivi diversi che riguardano il peso della burocrazia, l’inefficienza dell’amministrazione e della giustizia”.

 

Si tagliano i contributi proprio perché si riconosce che in Italia esiste un differenziale di produttività tra nord e sud. “Certamente. E per questo bisognerebbe spostare la contrattazione a livello locale e abbandonare l’illusione che il mercato del lavoro sia unico e che i salari vadano definiti con contratti nazionali. L’abbattimento dei contributi, in sé più che benvenuto, in questo caso evita che si affrontino i problemi. In passato di sgravi contributivi per il Mezzogiorno ne abbiamo avuti, sono state riversate tante risorse senza modificare nulla sulle prospettiva dell’economia meridionale”.

 

PUBBLICITÁ

PUBBLICITÁ

Non sarà mica contrario a un taglio delle tasse? “Sono totalmente favorevole a ogni riduzione fiscale e contributiva. L’intero paese ha bisogno di una riduzione fiscale permanente finanziata da tagli di spesa permanenti. Ma qui siamo semplicemente di fronte a una misura temporanea che forse sarà dichiarata permanente. La traduzione politica è, semplicemente, che il governo vuole evitare che da settembre-ottobre ci sia un disastro occupazionale nel sud. Si annuncia un piano decennale ma si cerca, comprensibilmente, di limitare i rischi nell’immediato con la solita politica dei bonus”.

 

PUBBLICITÁ

In realtà, l’idea del governo e del ministro Provenzano è quella di un intervento senza precedenti, che affianchi alla decontribuzione investimenti e riforme per risolvere la “questione meridionale”. “Mi permetto di dubitare che nel nuovo piano per il sud ci sia nulla di significativamente diverso da ciò che abbiamo visto in passato”. Cosa manca? “Una semplice riflessione: perché, da 25 anni a questa parte, dopo tante politiche per il Mezzogiorno, non accade nulla? Perché questi piani sono un fallimento dopo l’altro? Non c’è nessuna analisi di questo tipo, ma solo l’ennesimo tentativo di far funzionare qualcosa che non è funzionante per esperienza. La ripetizione di una congerie di strumenti che visibilmente sono incapaci di generare un risultato positivo”.

 

La decontribuzione c’è già stata in passato e il piano per il sud è una riedizione di provvedimenti inefficaci. Insomma, siamo di fronte a una specie di greatest hits delle politiche per il Mezzogiorno stavolta finanziate – si spera – dall’Unione europea? “Il punto è proprio questo. Non si è riflettuto sulle politiche passate, insistere sulla strada battuta non porta lontano. Servirebbe una visione fresca, ma il ministro Provenzano culturalmente proviene da quell’ambiente che ha formulato quel tipo di politiche che hanno avuto un esito fallimentare. Il ventaglio di interventi nel Mezzogiorno degli ultimi anni è stato molto ampio, laddove l’iniziativa del pubblico andrebbe concentrata su pochissimi obiettivi e in particolare sulle infrastrutture dove effettivamente esiste un gap”.

 

Non è vero però che non c’è stata un’analisi sugli ultimi anni. C’è stata. E la conclusione è che in questi decenni si è speso poco per il sud. “L’idea che, nonostante sul Mezzogiorno si sia riversata quantità ingente di risorse con risultati minimali, la soluzione stia nell’aumentare il flusso mi sembra opinabile. E’ un’argomentazione di fronte alla quale, tragicamente, non resta altro che aspettare. Sarei lieto di essere smentito, ma forse va detto che la vecchia idea sulla riserva di investimenti da destinare a particolari zone non era un’idea brillante: gli investimenti vanno fatti quando hanno un ritorno. Sociale, in alcuni casi, ma un ritorno. Nel Dopoguerra, quando il sud si è avvicinato al resto del paese, non c’erano quote riservate di investimenti ma una buona amministrazione e una presenza dello stato strategica e non invasiva”.

 

Anche sul fronte della classe dirigente, che al sud ha dato una pessima prova, non pare che ci siano grandi cambiamenti. “Le elezioni regionali sono un buon esempio, in Campania e Puglia si sfidano governatori uscenti contro ex governatori. La classe dirigente è stata selezionata dai fondi statali ed europei, che sono diventati anche la modalità con cui la classe politica meridionale mantiene il potere. Non è sorprendente che quei fondi spesso non abbiano una destinazione utile, quando ce l’hanno. Purtroppo l’Italia è stata sfortunatissima con il Recovery fund”. In che senso? Abbiamo ottenuto molte risorse, qualche ministro l’ha definito un jackpot. “Purtroppo ci troveremo a gestire una quantità significativa di risorse in un biennio pre elettorale: la probabilità che queste somme vengano impiegate guardando all’appuntamento elettorale è elevatissima e aumenterà con l’avvicinarsi alle votazioni. L’Europa ha in mente un piano Next generation, ma il timore è che qui possa trasformarsi in un piano Next election”.

“Non si è riflettuto sulle politiche per il Mezzogiorno degli ultimi 25 anni. Mi sembra opinabile l’idea che, nonostante si sia riversata quantità ingente di risorse con risultati minimali, la soluzione stia nell’aumentare il flusso. E’ un’argomentazione di fronte alla quale, tragicamente, non resta che aspettare”

PUBBLICITÁ