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Perché il mercato non dà peso al dieselgate che minaccia Fca-Psa

Mariarosaria Marchesano

Il titolo della casa automobilistica italo-americana cresce di valore in Borsa attestandosi sui valori massimi degli ultimi quattro mesi nonostante le cattive notizie

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Milano. Una pioggia negativa di notizie per Fca – tra un nuovo filone tedesco di indagine su presunte frodi sulle emissioni e la sospensione dell’Antitrust del percorso di valutazione della fusione con Psa – e il titolo della casa automobilistica italo-americana cresce di valore in Borsa attestandosi sui valori massimi degli ultimi quattro mesi. Perché?

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Milano. Una pioggia negativa di notizie per Fca – tra un nuovo filone tedesco di indagine su presunte frodi sulle emissioni e la sospensione dell’Antitrust del percorso di valutazione della fusione con Psa – e il titolo della casa automobilistica italo-americana cresce di valore in Borsa attestandosi sui valori massimi degli ultimi quattro mesi. Perché?

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L’impressione è che il mercato stia dando poco credito a queste novità, pur mantenendo alta l’attenzione sui termini della tempistica delle nozze con il produttore di auto francese, che si aspetta venga conclusa nel primo trimestre del 2021. Un aspetto che hanno sottolineato quasi tutti gli analisti che stanno seguendo le vicende Fca è che l’iniziativa dei pubblici ministeri di Francoforte, che ha portato due giorni fa a perquisizioni negli stabilimenti di Fca e di Cnh industrial (camion) in Germania, Svizzera e Italia, ha origine in un’indagine che risale al 2016 dalla quale non è mai emerso nulla di concreto a carico di Fca, che pure tempo fa ha pagato una multa di 800 milioni alle autorità americane quando hanno accertato irregolarità nelle emissioni dei veicoli turbo diesel commercializzati negli stati federali. Il senso di questa considerazione è in parole povere che non esiste al momento evidenza di un “dieselgate” e anche se ci fosse l’impatto su Fca sarebbe poco rilevante in ragione di un precedente storico: Volkswagen.

 

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Nel 2015, la casa automobilistica tedesca, dopo aver ammesso di aver taroccato i test sui motori incalzata dall’Epa (Environmental Protection Agency), ha pagato una multa di 25 miliardi di euro per i veicoli venduti sul mercato americano, circa 500 mila, mentre ha sborsato solo mezzo milione di euro in seguito ad indagini svolte in Europa per la vendita di 10,5 milioni di auto irregolari. Insomma, nonostante la sproporzione nelle quote di mercato nelle due aree geografiche, per Volkswagen il conto delle manomissioni è stato ben più salato sull’altra sponda dell’Atlantico, precedente che porta alcuni analisti, come Gabriele Gambarova di Banca Akros, a concludere in una sua nota che le indagini europee sulle emissioni appaiono per i produttori d’auto “non troppo pericolose” e questo a causa della frammentazione degli enti di controllo coinvolti e di normative non omogenee.

 

Questo non vuol dire che un eventuale “dieselgate” targato Fca non sarebbe una notizia “fastidiosa”, ammette un’analisi di Equita Sim, che non esclude che ci possano essere delle passività latenti per Fca e anche per Cnh. Ad oggi, però, non ci sono elementi per trarre conclusioni.

 

Per quanto riguarda l’altra notizia negativa, e cioè che la Commissione europea ha bloccato l’indagine Antitrust nel segmento dei camion in attesa di ricevere ulteriori informazioni da Fca e Psa (le quali, però, si sono già dichiarate pronte a fornire i documenti necessari), gli analisti ritengono che questo potrebbe al massimo allungare di qualche settimana i tempi dell’istruttoria, la cui conclusione è prevista entro il 3 novembre del 2020, e di conseguenza far slittare il completamento dell’aggregazione tra i due gruppi da marzo ad aprile del prossimo anno. Insomma, il mercato sembra avere fiducia immutata nel grande deal dell’auto che promette benefici in termini di sinergie industriali per 3,7 miliardi di euro e, come si dice in gergo, “non prezza” i rischi delle ultime novità. Semmai esiste una preoccupazione da parte degli investitori, è più latente e ha a che fare con le mutate condizioni di contesto economico che potrebbero indurre le parti e rivedere i termini della fusione per quanto riguarda in particolare il dividendo straordinario di 5,5 miliardi di euro previsto dagli accordi iniziali per gli azionisti di Fca. Rinunciato a quello ordinario da circa 1 miliardo di euro dopo aver accettato un maxi prestito pubblico che ha suscitato un polverone di polemiche, il presidente John Elkann ha dichiarato essere per lui imprescindibile lo stacco della maxi cedola connessa all’operazione di fusione con i francesi. Chissà, però, che i venti di crisi non gli suggeriscano una diversa soluzione.

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