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Le semplificazioni grilline sono un macigno sull’innovazione

Complicazioni, poche trasformazioni, riforme a metà, pubblica amministrazione non sbloccata. Agenda per una svolta vera

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Roma. Nel decreto Semplificazioni approvato “salvo intese” dal governo, un blocco di 31 cartelle e 13 articoli è dedicato alla svolta digitale delle Pa, che Paola Pisano, ministra a 5 stelle per l’Innovazione, ha riassunto così: “Ognuno con il suo smartphone potrà accedere a tutti gli atti pubblici”, “Ogni atto verrà archiviato e custodito in un cloud e messo a disposizione di chi ne abbia bisogno”, “Nessun ufficio pubblico potrà chiedere ai cittadini due volte lo stesso documento”. Ottimo, se si considera che a Roma per abbattere i tempi di attesa per la carta d’identità elettronica il sito internet del ministero dell’Interno ha dovuto sostituirsi a quello del Campidoglio. Mentre la copia della vecchia carta d’identità, cartacea, digitalizzata, firmata, fotografata e obbligatoriamente trasformata in formato pdf, continua ad essere reclamata per ogni pratica pubblica e privata. Ma intanto a una prima lettura il testo presenta, agli esperti che da anni studiano l’agenda digitale nazionale, una svolta statalista e centralizzatrice, che al contrario non era presente nel piano di digitalizzazione sul quale aveva molto insistito anche Vittorio Colao.

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Roma. Nel decreto Semplificazioni approvato “salvo intese” dal governo, un blocco di 31 cartelle e 13 articoli è dedicato alla svolta digitale delle Pa, che Paola Pisano, ministra a 5 stelle per l’Innovazione, ha riassunto così: “Ognuno con il suo smartphone potrà accedere a tutti gli atti pubblici”, “Ogni atto verrà archiviato e custodito in un cloud e messo a disposizione di chi ne abbia bisogno”, “Nessun ufficio pubblico potrà chiedere ai cittadini due volte lo stesso documento”. Ottimo, se si considera che a Roma per abbattere i tempi di attesa per la carta d’identità elettronica il sito internet del ministero dell’Interno ha dovuto sostituirsi a quello del Campidoglio. Mentre la copia della vecchia carta d’identità, cartacea, digitalizzata, firmata, fotografata e obbligatoriamente trasformata in formato pdf, continua ad essere reclamata per ogni pratica pubblica e privata. Ma intanto a una prima lettura il testo presenta, agli esperti che da anni studiano l’agenda digitale nazionale, una svolta statalista e centralizzatrice, che al contrario non era presente nel piano di digitalizzazione sul quale aveva molto insistito anche Vittorio Colao.

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Lì la filosofia era di implementare la miriade di banche dati esistenti, pubbliche e private, e di farle dialogare tra loro, sia pure con la presenza di un hub pubblico (il cloud). Ora invece già al primo comma dell’articolo 1 scompare la facoltà per i privati di cancellare il proprio indirizzo di posta certificata (pec) dal registro noto agli uffici pubblici, mentre tale possibilità è ribaltata d’ufficio a favore dello stato “qualora il domicilio eletto non risulti più attivo”. “Risulti inattivo per quanto?” si chiede uno dei maggiori esperti di digitalizzazione pubblica. “A quale attività di controllo? E se lo stato ti cancella la pec e magari non ti avvisa, come comunica con te, con le vecchie raccomandate con spese a carico?”. Più avanti si stabilisce che le pec finiscano obbligatoriamente in un registro nazionale con privati, professionisti abilitati (compresi i delegati dei primi), “nonché le pa”. Commento: “Se ho dato la mia pec ad un’amministrazione mi trovo che viene data a tutti. Se ne ho due e tre diverse, come si risolve il conflitto? Il domicilio digitale non può funzionare con iscrizioni d’ufficio”. Altrettanto delicato è il punto che prevede l’attribuzione di una identità digitale “con livello di sicurezza almeno significativo” (in pratica il livello 2) “attesta gli attributi qualificati dell’utente ivi compresi il possesso di abilitazioni o autorizzazioni richieste dalla legge ovvero stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi e registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche”.

 

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Confondendo un’autentificazione informatica con una identificazione a tutto campo si rischia evidentemente la schedatura di massa. Questo però è un onere per i cittadini che viene risparmiato a una quantità di uffici pubblici: “I soggetti rendono fruibili i propri servizi anche attraverso il punto di accesso telematico salvo impedimenti di natura tecnologica attestati”. Cioè a meno che PagoPa, il servizio di pagamenti delle Pubblica amministrazione non li esoneri per problemi tecnologici. Il che, considerando che la promessa è di coinvolgere dai tribunali alle agenzie fiscali agli enti locali agli asili, è facile prevedere che avverrà spesso. Anche perché non sono previste sanzioni (per gli uffici pubblici). Poche settimane fa due esperti di e-government a livello europeo e componenti del Comitato di indirizzo dell’Agenda digitale. Paolo Coppola e Stefano Quintarelli, avevano pubblicato un documento intitolato “Pa digitale, il momento è ora. Otto tesi per completare la trasformazione”. Il presupposto era che non vi fosse bisogno di riformare da capo quanto fatto finora, ma di far progredire l’esistente, soprattutto liberalizzando il dialogo tra le varie piattaforme pubbliche e private. Come del resto suggeriva Colao. Almeno per i critici il piano Pisano sembra andare in un’altra direzione, molto statalista, molto declamatoria (“Tutto sullo smartphone”), e anche molto complicata. In altre parole, molto a 5 stelle. 

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