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Sì al Mes per un’italia adulta

Tutte le balle sulle condizionalità. Il boomerang del rinviare scelte urgenti. E poi qualche idea su come spendere i soldi europei. Manifesto (anche con Tria e Padoan) per il sì al Mes

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Nel dibattito pubblico il Meccanismo Europeo di Stabilità si aggira come la miccia di un esplosivo: l’innesco di un redde rationem sempre imminente, sia tra le forze che compongono la maggioranza di governo sia tra i partiti dell’opposizione. Sullo sfondo, lo spettro-Grecia, con l’evocazione della Troika e delle rigidità di quella gestione, ma anche, in trasparenza, gli accenti retorici di una narrazione europeista oscillante tra gli ipertecnicismi asettici da burocrati e l’entusiasmo fideistico dei tifosi del “vincolo esterno”.

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Nel dibattito pubblico il Meccanismo Europeo di Stabilità si aggira come la miccia di un esplosivo: l’innesco di un redde rationem sempre imminente, sia tra le forze che compongono la maggioranza di governo sia tra i partiti dell’opposizione. Sullo sfondo, lo spettro-Grecia, con l’evocazione della Troika e delle rigidità di quella gestione, ma anche, in trasparenza, gli accenti retorici di una narrazione europeista oscillante tra gli ipertecnicismi asettici da burocrati e l’entusiasmo fideistico dei tifosi del “vincolo esterno”.

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La verità è che la linea di credito del Mes per la sanità non è né un cappio al collo, né una panacea.

 

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La linea di credito del Mes per la sanità non è né un cappio al collo, né una panacea: è un’occasione vera per cambiare un pezzo d’Italia

I termini della questione ci sembrano chiari: in attesa di capire come sarà strutturato il Next Generation EU, il governo ha la responsabilità politica di valutare se il sistema sanitario abbia bisogno o meno di un intervento urgente e di carattere strutturale, di riorganizzazione e modernizzazione di alcune componenti.

 

Se la risposta è sì, le risorse del Mes sono utili, perché si tratta di un finanziamento di lungo periodo, che riduce, sia pure per un importo relativamente limitato, la massa del debito da rifinanziare a breve sui mercati.

 

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Detto in altri termini, il finanziamento del Mes va chiesto se serve a finanziare un programma d’intervento urgente, che andrebbe realizzato comunque subito, per ridurre l’incertezza e prevenire gli effetti negativi, sanitari, sociali ed economici, di una eventuale fase due del contagio. Il peggiore degli scenari possibili, invece, sarebbe quello non decidere o, invece, di ricorrere al Mes per coprire spese a piè di lista da sostenere “perché ci sono i finanziamenti europei”.

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Il Mes può funzionare da catalizzatore di attenzione, forzando il sistema politico a elaborare un grande piano di riorganizzazione

E’ utile ripercorrere alcuni passaggi. Il Mes ha aperto una linea di credito, denominata Pandemic Credit Support (Pcs), che permette l’accesso a risorse sino al 2 per cento del Pil. La condizione per attivare questo canale è una sola: che i fondi siano utili, e siano impiegati, per coprire i costi sanitari, di prevenzione e cura, diretti o indiretti, connessi alla realizzazione di un programma di gestione dell’emergenza pandemica.

 

Per questo motivo, il Pcs è anzitutto un innesco per concentrare gli sforzi e realizzare un programma a tappe forzate, di riorganizzazione del sistema sanitario. Il Mes può funzionare da catalizzatore di attenzione, forzando il sistema politico e amministrativo a elaborare un piano di riorganizzazione e rinnovamento delle strutture materiali e immateriali, tecnologiche e di qualificazione professionale, centrali e di rete, di cura e di prevenzione delle emergenze sanitarie. L’accesso alle risorse sarebbe estremamente rapido.

 

Il Piano Bridge Sanità: modernizzazione, sostenibilità, semplificazione

Su questo quadro di sfondo, l’Associazione “M&M – Idee per un paese migliore” e la “Fondazione Cerm – Competitività, Regole, Mercati” hanno analizzato lo stato del sistema sanitario e hanno messo a punto, grazie al supporto di un team di esperti, il Piano “Bridge Sanità”, un programma in 5 punti. Il quadro normativo di riferimento per gli interventi esiste e la raccomandazione è di lavorare in linea con le previsioni del DM 70/2015, proseguendo lungo il percorso di allineamento di fabbisogni e spesa standard avviato con la Legge 42/2009. Abbiamo identificato alcuni interventi che pensiamo siano necessari e che vanno inseriti entro una cornice programmatica coerente.

 

1) L’ammodernamento della rete ospedaliera nazionale, progettando attentamente gli strumenti di finanziamento degli interventi e accelerando i programmi esistenti. Oltre il 30 per cento degli ospedali italiani è stato costruito prima del 1940, l’età media degli ospedali è superiore a 50 anni. Il paese non ha bisogno di più ospedali. Serve invece disporre di strutture ben organizzate, di dimensioni adeguate, con layout idonei per la gestione delle malattie infettive. In molti casi, è necessario costruire nuove strutture in sostituzione delle esistenti. In altri casi, è possibile il “retrofit” di immobili esistenti, con effetti importanti anche sui costi di gestione e i consumi energetici.

 

2) L’adeguamento delle strutture intermedie di cura e medicina territoriale (Rsa, Centri di gestione della cronicità, Centri di day cure diagnostici e terapeutici, unità di riabilitazione e prevenzione) rendendole idonee all’ordinata gestione delle malattie infettive e delle emergenze pandemiche. Attenzione e risorse dovranno essere dedicate alla formazione del personale di queste strutture, che raramente hanno preparazione su temi epidemiologici;

 

3) La realizzazione di una rete nazionale permanente di monitoraggio sanitario e di biosorveglianza, coinvolgendo a pieno le reti dei medici di medicina generale, rafforzando le capacità di coordinamento di analisi dei dati a livello centrale, potenziando le reti regionali e territoriali;

 

4) Il rafforzamento della rete di prevenzione, diagnostica e assistenza domiciliare, ivi comprese le soluzioni di home care e medicina terminale. Anche in questo caso, oltre alla tecnologia, serve la formazione per usarla al meglio. Bisogna costruire, in tutto il Paese, con la collaborazione dei medici di medicina generale, soluzioni idonee per la gestione domiciliare dei pazienti (telemedicina, teleassistenza), così da concentrare gli ospedali sulle funzioni di cura delle patologie acute, gestendo sul territorio le cronicità, la medicina terminale e l’epidemiologia, magari attivando – con tutte le cautele del caso – anche la rete delle farmacie e delle parafarmacie;

 

5) Il rinnovo delle dotazioni tecnologiche sanitarie in coerenza con gli indirizzi di cui sopra e, inoltre, la costituzione di una rete nazionale di laboratori per lo svolgimento di test diagnostici, con particolare riferimento ai test genetici e molecolari.

  

Il programma deve valorizzare e, dove necessario, integrare le capacità di programmazione delle Regioni, rispettando due requisiti di fondo. Primo, la sostenibilità, con l’impegno di evitare aumenti della spesa sanitaria corrente a regime. Secondo, la semplificazione della governance tra centro e periferia e nello svolgimento dei lavori, con procedure speditive per le Regioni più pronte e con l’identificazione, eventualmente presso il Ministero dell’Economia, di un soggetto responsabile della progettazione delle soluzioni di finanziamento, dell’attuazione e della rendicontazione. Il tutto al fine di garantire tempi certi per la realizzazione, l’aggiudicazione e il monitoraggio delle attività programmate e dei bandi di gara.

  

Alcune domande sul Mes

Al di là dei dettagli della proposta, è evidente che senza fare chiarezza sui molti elementi di divisione, anche il migliore dei programmi rischia di perdersi nella confusione dell’attuale dibattito. E’ bene procedere punto per punto, provando a sciogliere alcuni degli interrogativi sospesi. La prima domanda: accedere ai finanziamenti del Mes per la sanità conviene all’Italia? Perché gli altri paesi non lo utilizzano? Per rispondere, in modo pragmatico, sul vantaggio economico per l’Italia si deve considerare il costo medio delle emissioni italiane a 7 e a 10 anni negli ultimi tre mesi e confrontarlo con i tassi che l’Italia pagherebbe nell’ambito della Pandemic Crisis Support del Mes. Il costo del finanziamento a 10 anni sarebbe intorno allo 0,08 per cento, quello a 7 anni allo 0,07 per cento. La stima del costo del finanziamento per le stesse scadenze sul debito italiano è poco superiore all’1,6 e all’1,3 per cento, rispettivamente. Pertanto, il ricorso alla linea di finanziamento del MES implicherebbe un risparmio pari a circa 160 punti base all’anno per 10 anni o a circa 130 punti base all’anno per 7 anni, a seconda della durata del finanziamento: sull’intero arco del finanziamento, si tratta di una minore spesa attorno ai 5,8 miliardi di euro in dieci anni o 4,7 miliardi in sette anni. Non è ancora chiaro se altri Paesi dell’Eurozona utilizzeranno il Pcs, forse no, anche perché diversi Stati membri sono in grado di finanziarsi sui mercati a un tasso minore (la Francia) o simile (la Spagna) a quello del Mes. E’ chiaro però che l’Italia è quello che ha interesse maggiore a farlo, sia in termini relativi (il suo costo del debito è tra i più elevati) sia in termini assoluti (il 2 per cento del Pil italiano è ben maggiore rispetto al 2 per cento del Pil greco o portoghese).

 

Conveniente o no? Il ricorso alla linea di credito del Mes implicherebbe un risparmio pari a circa 160 punti base all’anno per 10 anni

Un secondo interrogativo: anziché mettersi nelle mani del Mes, non converrebbe invece prendere a prestito a tassi di mercato, con una durata dei prestiti molto inferiore, così da ridurre i tassi? La risposta è no: non converrebbe. Contrarre la durata media del debito in una fase di tassi negativi non sembra una scelta oculata. La possibilità che gli investitori, nei prossimi anni, chiedano premi per il rischio più elevati non è certo pari a zero e non si fa fatica a prevedere scenari in cui una crescita dei tassi di interesse richiesti per il rifinanziamento del debito più che compensi il possibile vantaggio iniziale.

 

Terza domanda: è un problema che il prestito MES abbia precedenza sul rimborso del resto del debito italiano? Per garantire un basso costo di finanziamento (e dunque delle linee di prestito) il MES, come altre istituzioni internazionali, è un creditore privilegiato (‘senior’) nel rimborso del debito. Questo elemento verrebbe in rilievo solo nel caso estremo di default della Repubblica. Inoltre, l’ammontare del prestito per l’Italia (al massimo 36 miliardi di euro) è pari a circa l’1,5 per cento del totale del debito pubblico italiano, e con una scadenza più lunga della durata media prevista nei termini dei prestiti del MES. Per questo l’effetto sulla percezione dei mercati del rischio complessivo del debito pubblico italiano è insignificante. Non risulta che gli investitori sul nostro debito lo vedano come problematico.

 

Quarta domanda: il Pandemic Crisis Support incorpora le condizionalità previste dal Trattato istitutivo? Le regole europee prevedono la Sorveglianza Rafforzata per i Paesi che usano il Mes. La Commissione europea ha chiarito, però, che nel caso della linea di credito Pcs l’unico monitoraggio previsto riguarda l’esecuzione delle linee di intervento indicate all’atto della richiesta di finanziamento, emendando in questo senso lo specifico Regolamento attuativo. Nel dettaglio, la Commissione ha garantito che il Regolamento 472/2013 (“Two Pack”) che istituisce il meccanismo di sorveglianza rafforzata non troverà applicazione, mentre gli Stati membri dovranno presentare rapporti trimestrali sull’uso dei fondi, con un monitoraggio ex post della Commissione.

 

La strada è chiara. I programmi ci sono. I soldi pure. Il governo decida subito, con pragmatismo e decisione. L’Italia ne ha bisogno

Un quinto dubbio: il sistema di early warning del Mes è un cavallo di Troia che, una volta penetrate le difese nazionali con l’inganno, rivelerebbe condizioni capestro e controlli che oggi ci vengono nascosti? Ancora una volta, la risposta è no. Si tratta di uno strumento di valutazione del rischio che il Mes utilizza per stimare le capacità dei Paesi di ripagare i prestiti, che non produrrebbe nessun effetto nel caso del Pcs, dato che il costo del finanziamento è definito ex ante indipendentemente dagli aggiustamenti che gli indicatori dovessero eventualmente registrare nel corso del tempo. Nello schema del Pcs non sono previste condizionalità riferite al percorso di aggiustamento macroeconomico dei Paesi, né si prevede che il Mes possa avere potestà giuridica autonoma sul monitoraggio dei conti pubblici di uno Stato.

 

In chiusura, val la pena sottolineare un punto: l’idea che il Mes possa essere la Sarajevo dell’Unione Monetaria, l’incidente destinato a far deflagrare il sistema, è priva di fondamento. Anche per questo motivo, chiediamo che il governo decida subito, con pragmatismo e decisione.

  

Fabrizio Pagani, Fabio Pammolli

 

Team di lavoro: Carlo Altomonte, Gioia Ghezzi, Fabrizio Landi, Cosimo Pacciani, Roberto Sambuco. 

Sottoscrivono il testo “Mes? Un banco di prova per l’Italia adulta”

Alberto Baban (imprenditore, fondatore e presidente di VeNetWork S.p.A., già presidente nazionale delle PMI di Confindustria)

Stefania Bariatti (giurista, Università degli Studi di Milano)

Orlando Barucci (Managing Partner, Vitale&Co)

Andrea Bellone (direttore Struttura Complessa Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, ASST Grande Ospedale Metropolitano Ospedale Niguarda)

Stefano Boeri (architetto, urbanista, teorico dell’architettura, accademico)

Clotilde Calabi (filosofa, Università degli Studi di Milano)

Carlo Alberto Carnevale Maffè (economista, Università Bocconi)

Manfredi Catella (ceo and Founder COIMA SGR)

Fabrizio Coricelli (economista, Università di Siena, Research Fellow CEPR, Londra) 

Andrea Cuomo (fondatore Sacertis)

Franco Debenedetti (presidente, Istituto Bruno Leoni)

Valerio Di Porto (dirpolis, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa)

Enrico Falck (presidente dei Consigli di Amministrazione di Falck S.p.A. e Falck Renewables S.p.A.)

Daniele Ferrero (amministratore Delegato Venchi)

Stefano Firpo (direttore Generale Mediocredito Italiano, Intesa San Paolo, già Direttore Generale presso il Ministero dello Sviluppo Economico)

Giampaolo Galli (economista, School of European Political Economy, Luiss Guido Carli; Osservatorio dei Conti Pubblici, Università Cattolica )

Francesco Garzarelli (macroeconomista)

Antonio Gaudioso (segretario Generale, Cittadinanzattiva)

Massimiliano Giansanti (presidente Confagricoltura)

Edoardo Ginevra (cfo, Banco BPM)

Andrea Illy (imprenditore, Presidente Illy caffé)

Francesco Luccisano (fondatore di allavoro.eu)

Mauro Lusetti (presidente Legacoop )

Mauro Maré (economista, Luiss Guido Carli)

Giovanna Melandri (presidente Fondazione Maxxi)

Diva Moriani (manager Vicepresidente esecutivo Intekgroup e gruppo KME)

Monica Nardi (segretario Generale ID- Budapest European Agora)

Roberto Nicastro (presidente, Cassa del Trentino)

Pier Carlo Padoan (rconomista, deputato, già Ministro dell’Economia e delle Finanze)

Stefano Parisi (promotore, Ricostruire)

Carlo Maria Pinardi (presidente Analysis, Università Bocconi)

Ignazio Rocco di Torrepadula (fondatore e CEO Credimi)

Giuseppe Russo (direttore, Centro Einaudi)

Alberto Saravalle (partner BonelliErede, Università di Padova)

Serena Sileoni (vicedirettore Generale, Istituto Bruno Leoni)

Carlo Stagnaro (Senior Fellow, Istituto Bruno Leoni)

Luisa Torsi (chimica, Università degli Studi di Bari)

Giovanni Tria (economista, Università di Roma Tor Vergata, già Ministro dell’Economia e delle Finanze)

Domenico Trombone (libero professionista, Non-Executive Director)

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