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Bad bank sovrana

Mariarosaria Marchesano

Si rafforza il modello Amco che però non risolve tutti i problemi di Mps che ha cinque miliardi di cause legali

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Milano. Con 8 miliardi di euro trasferiti da Banca Mps e 2 miliardi dalla Popolare di Bari, che si sta salvando con la trasformazione in spa, la Amco vede lievitare il suo portafoglio di crediti deteriorati a 33,4 miliardi di euro. Una cifra molto rilevante che è il risultato di svariati interventi di salvataggio bancario (oggi ribattezzati con il termine “derisking”) che la società al 100 per cento Mef ha portato a termine nella sua recente storia diventando di fatto l’unica bad bank “sovrana” nell’attuale contesto europeo.

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Milano. Con 8 miliardi di euro trasferiti da Banca Mps e 2 miliardi dalla Popolare di Bari, che si sta salvando con la trasformazione in spa, la Amco vede lievitare il suo portafoglio di crediti deteriorati a 33,4 miliardi di euro. Una cifra molto rilevante che è il risultato di svariati interventi di salvataggio bancario (oggi ribattezzati con il termine “derisking”) che la società al 100 per cento Mef ha portato a termine nella sua recente storia diventando di fatto l’unica bad bank “sovrana” nell’attuale contesto europeo.

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L’ipotesi di creare un grande contenitore per ripulire i bilanci delle banche dai crediti deteriorati previsti in aumento con la crisi provocata dall’emergenza sanitaria, che secondo indiscrezioni di stampa sarebbe stata avanzata da funzionari della Bce, si è di fatto scontrata con le resistenze della Dg Competition della Commissione europea, che non vuole per ora di rendere tanto elastica la deroga al divieto degli aiuti di stato introdotta i primi di marzo per consentire agli stati di affrontare la crisi Covid.

 

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Così, quello dell’italiana Amco è sempre di più un “caso” anche perché, sotto la guida di una ex manager bancaria di grande esperienza, come Marina Natale, ha trovato il modo di conciliare l’attività di pronto soccorso nei confronti del sistema bancario con soluzioni di mercato, facendo lo slalom tra vincoli e paletti imposti dalle normative europee. L’ultimo intervento a favore di Montepaschi, poi, si caratterizza per la sua complessità finanziaria (la scissione della banca in due parti) anche se alla fine si può semplificare dicendo che l’azionista comune, il Mef, ha trasferito dalla banca all’Amco le attività relative ai crediti deteriorati e in questo passaggio ha attribuito a tutti i soci dell’istituto amministrato da Guido Bastianini (che è quotato in Borsa e vede, quindi, la presenza anche di investitori privati) la possibilità di ottenere in cambio quote della società che li gestisce.

 

Anche in questo caso, l’Amco ottiene finanziamenti da recuperare da cittadini e imprese (localizzati prevalentemente nel nord Italia) e un debito a cui far fronte, con il vantaggio di avere davanti un orizzonte di lungo periodo e un azionista “paziente” per sua natura perché pubblico. Secondo alcuni analisti, però, l’efficacia del modello Amco (che nasce sulle ceneri della Sga del vecchio Banco Napoli di cui ha ereditato quello che si potrebbe definire un capitale di avviamento di 700 milioni circa) è da verificare alla luce di prospettive economiche deboli – che potrebbero influire sull’attività di recupero dei crediti – di tassi d’interesse bassi e prezzi immobiliari inchiodati se non discesa. Il che è lo scenario opposto a quello che si è trovato di fronte la Sga alla fine degli anni Novanta, quando ha cominciato ad operare. A fronte di questo, però, c’è da dire che il portafoglio di 33,4 miliardi vede un buon bilanciamento tra sofferenze e cosiddetti unlikely to pay, cioè crediti legati ad imprese che hanno chance di tornare in bonis e quindi di restituire i debiti, crisi Covid permettendo. Quello che riuscirà a fare in futuro Amco si vedrà anche perché l’attività di recupero si dovrà misurare con la fragilità di un tessuto economico e sociale indebolito dalla pandemia. Intanto, quello che più interessa è che nel frattempo lo schema utilizzato è riuscito a disinnescare diverse mine all’interno del sistema del credito nostrano (banche venete, Mps già nel 2016, Carige, Popolare di Bari).

 

Ma la bad bank non è la soluzione a tutti i problemi. Prendiamo il caso Montepaschi. Di sicuro la scissione ipotizzata con lo scorporo dei crediti deteriorati, piano che dovrà ottenere il via libera della Bce, è destinato ad avere un impatto molto positivo sui requisiti patrimoniali dell’istituto perché abbassa il rapporto tra impieghi e sofferenze a livelli addirittura inferiori a quelli indicati come soglia minima dall’Autorità bancaria europea, ma non è risolutivo se si considera un livello di rischiosità più generale. Due recenti analisi, di Equita sim e di Mediobanca, infatti, fanno notare che per considerare la banca senese davvero al sicuro bisognerebbe disinnescare la mina delle cause legali pendenti di Mps e che sono pari a 4,8 miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi sono ritenute perdite probabili in relazione ad alcune procedure giudiziarie, a fronte di accantonamenti per soli 500 milioni. A questo si potrebbe aggiungere cheil deterioramento dello scenario economico non gioca a favore. Da un recente studio dell’Eba, che ha esaminato l’impatto della crisi Covid sul sistema bancario, emerge che nello scenario più pessimistico le uniche due banche italiane che quest’anno potrebbero chiudere i bilanci in utile sono Intesa Sanpaolo e Mediobanca. Non è detto che sia così, ma le bad bank, anche quando sono efficaci, non fanno miracoli e se il Mef vorrà uscire o almeno ridursi nel l capitale di Siena entro il 2021 dovrà agire ulteriormente per rendere la banca appetibile per il mercato o favorire possibili aggregazioni per la nascita di un terzo polo, che dovrà essere il più solido possibile per stare in piedi e competere con gli altri due.

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