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Trappola della liquidità

Mariarosaria Marchesano

La Bce taglierà ancora i tassi, ma ora per convincere i mercati occorrono misure fiscali credibili. Parla Giavazzi

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Milano. “Siamo ormai nella trappola della liquidità”, dice al Foglio l’economista Francesco Giavazzi nel commentare la reazione negativa di Wall Street al taglio dei tassi di 50 punti base annunciato dalla Fed per contrastare gli effetti negativi del coronavirus. C’è voluto, infatti, il Supertuesday per dare una scossa positiva alla borsa di New York dopo il -3 per cento di martedì. Certo, il giorno precedente c’era stato un exploit proprio nell’attesa di una mossa tempestiva di Jerome Powell, ma è almeno insolito che proprio quando viene annunciata una consistente riduzione del costo del denaro – decisione che per la prima volta dal 2008 è avvenuta fuori da una riunione programmata – la più grande piazza finanziaria del mondo reagisca con il segno meno. 

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Milano. “Siamo ormai nella trappola della liquidità”, dice al Foglio l’economista Francesco Giavazzi nel commentare la reazione negativa di Wall Street al taglio dei tassi di 50 punti base annunciato dalla Fed per contrastare gli effetti negativi del coronavirus. C’è voluto, infatti, il Supertuesday per dare una scossa positiva alla borsa di New York dopo il -3 per cento di martedì. Certo, il giorno precedente c’era stato un exploit proprio nell’attesa di una mossa tempestiva di Jerome Powell, ma è almeno insolito che proprio quando viene annunciata una consistente riduzione del costo del denaro – decisione che per la prima volta dal 2008 è avvenuta fuori da una riunione programmata – la più grande piazza finanziaria del mondo reagisca con il segno meno. 

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Pur volendo utilizzare tutte le cautele del caso, e riconoscendo anche che i segnali di debolezza dell’azione delle banche centrali sono visibili da tempo, ormai non ci sono più dubbi: l’economia mondiale è arrivata alle soglie di quella particolare condizione ipotizzata da Keynes negli anni Trenta (la trappola della liquidità, appunto) che si verifica quando la politica monetaria non riesce più a esercitare un’influenza positiva sulla domanda e, di conseguenza, sulla crescita. Un caso di scuola, dunque, che secondo Giavazzi si è sviluppato per diverse ragioni. “Il G7 è stato una gran delusione – dice l’economista – la riunione ha avuto un esito incerto e lasciato sostanzialmente agli stati l’iniziativa sulle politiche fiscali. Esattamente il contrario rispetto a quanto fece dodici anni fa il G8 di Londra che reagì con un’azione decisa e coordinata al crack di Lehman Brothers che stava per scatenare una crisi mondiale. Così, la banca centrale americana ha voluto in qualche modo compensare questa delusione dando per prima un segnale forte verso un allentamento globale della politica monetaria, ma la sua mossa non sembra sostenuta dalla fiducia dei mercati finanziari. E’ un fatto rilevante perché se questo si verifica negli Stati Uniti, dove esistono ancora margini per tagliare i tassi d’interesse, mi domando che cosa succederà nell’Eurozona dove già da qualche anno i tassi sono negativi”. Ieri S&P ha annunciato che considera “probabile” che la Bce riduca di altri 10 punti base il tasso dei depositi in risposta all’emergenza provocata dall’epidemia del coronavirus.

  

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Basterà a contrastare una recessione economica? “Credo che d’ora in avanti i mercati reagiranno positivamente solo di fronte a un mix convincente di politiche monetarie e fiscali, ma un programma così articolato in Europa ancora non si vede – prosegue Giavazzi – La Bce può ancora ridurre il costo del denaro e magari ampliare il programma di acquisto di titoli, il cosiddetto Quantitative easing, ma ci sarà bisogno anche d’altro per stimolare la domanda, come l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, ha ripetuto per anni. Del resto, da quando è nata vent’anni fa, l’area euro si trova per la prima volta ad affrontare uno choc esterno con la banca centrale che di fatto ha strumenti limitati a disposizione”.

 

Secondo l’economista della Bocconi, il fatto che per controbilanciare l’impatto negativo del coronavirus sull’economia sia necessario un mix di interventi che implica una riduzione delle tasse e/o una maggior spesa pubblica è un concetto molto più chiaro in America che in Europa. “Ci sono segnali che il presidente Donald Trump si prepara ad annunciare un grande programma di espansione fiscale che potrebbe valere almeno due punti percentuali di pil – afferma – e quest’azione andrà ad integrare la politica espansiva della Fed che entro giugno porterà a 100 punti base il taglio dei tassi”. In effetti, Powell ha sostenuto che pur restando i fondamenti dell’economia americana solidi, il coronavirus rappresenta un rischio per le prospettive future e, anzi, sta già colpendo alcuni settori domestici come quello dei viaggi. Per contrastare l’emergenza virus, il governo italiano ha stanziato un primo pacchetto di 3,6 miliardi, pari allo 0,2 per cento del pil. Ha ragione allora la Lega di Matteo Salvini a sostenere che non saranno sufficienti e che ne occorrono almeno 20? “Non c’è dubbio che per essere efficace un allentamento fiscale debba essere consistente, ma non incompatibile con l’economia italiana come i 20 miliardi chiesti dalla Lega, un intervento che sarebbe contro-producente, cioè avrebbe un moltiplicatore negativo sul reddito come lo ebbero gli annunci del governo gallo-verde nell’estate del 2018”, conclude Giavazzi.

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