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L’azienda che doveva salvare Taranto tiene in ostaggio Piombino

Annarita Digiorgio

I nemici di Arcelor Mittal e di Calenda rimpiangono i tempi in cui Jindal poteva prendere Ilva. Intanto Jindal fa flop in Toscana

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Taranto. Entro il 28 gennaio Jindal, che ha acquisito l’acciaieria di Piombino nel 2018, avrebbe dovuto presentare allo scadere dei 18 mesi dall’accordo di programma firmato con il governo e gli enti locali, lo studio di fattibilità della cosiddetta fase due. E non lo ha fatto, chiedendo ulteriori 4 mesi di tempo. La fase due prevedeva, dopo il riavvio dei treni, gli investimenti per una produzione di acciaio basata su tecnologie sostenibili. In particolare era in ballo la realizzazione di un forno elettrico (come per il nuovo piano Ilva) necessario a Piombino per l’autonomia e l’equilibrio economico dell’acciaieria, che al momento lavora un semiprodotto acquistato a prezzi non competitivi da India e Oman. L’investimento è di circa 500 milioni, poco più della copertura del parco minerali Ilva, ma Jindal in 18 mesi non è riuscita a presentare neppure il progetto.

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Taranto. Entro il 28 gennaio Jindal, che ha acquisito l’acciaieria di Piombino nel 2018, avrebbe dovuto presentare allo scadere dei 18 mesi dall’accordo di programma firmato con il governo e gli enti locali, lo studio di fattibilità della cosiddetta fase due. E non lo ha fatto, chiedendo ulteriori 4 mesi di tempo. La fase due prevedeva, dopo il riavvio dei treni, gli investimenti per una produzione di acciaio basata su tecnologie sostenibili. In particolare era in ballo la realizzazione di un forno elettrico (come per il nuovo piano Ilva) necessario a Piombino per l’autonomia e l’equilibrio economico dell’acciaieria, che al momento lavora un semiprodotto acquistato a prezzi non competitivi da India e Oman. L’investimento è di circa 500 milioni, poco più della copertura del parco minerali Ilva, ma Jindal in 18 mesi non è riuscita a presentare neppure il progetto.

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Eppure c’è qualcuno che ancora ne reclama la gara persa con cui avrebbe invece dovuto investire 4 miliardi su Ilva. Infatti per soli 600 milioni in più la gara europea, sotto vigilanza dei commissari di governo, fu aggiudicata a Mittal. “Questi 600 milioni si sarebbero risparmiati con l’anticipo dei 4 mesi per l’acquisizione che furono necessari a Mittal per superare l’esame dell’antitrust” dicono ancora oggi Francesco Boccia e Michele Emiliano, molto dubbiosi sui metodi con cui venne imbastita la gara ai tempi di Calenda. Ma per Jindal faceva il tifo, e oggi non lo nasconde, anche Matteo Renzi. Lo stesso Calenda, per giustificare l’accusa di tifo per la squadra avversa, dice che la cordata di cui Jindal teneva il 35 per cento fu messa insieme dal governo, e che lui stesso ne consigliò un’offerta maggiore. Furono lui e Claudio De Vincenti a mettere attorno a Jindal anche Cassa Depositi e Prestiti (che nominò Lucia Morselli, oggi ad di ArcerlorMittal), Arvedi e il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio. E nel cda di Jindal sedeva, e siede oggi nel cda Piombino, Marco Carrai.

  

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Del resto fu lo studio dell’avvocato Bianchi, presidente della fondazione Open, a guidare l’acquisizione di Jindal dall’algerino Rebrab. Operazione per la quale Calenda non mancò di ringraziare pubblicamente Carrai. Certo non mancano le colpe del governo attuale, che ieri ha ammesso lo stesso Patuanelli. Tutti i sindacati riconoscono che mentre erano costanti i tavoli sulla vertenza Piombino con il ministro Calenda, dal passaggio al governo Conte i ministri dello sviluppo hanno affidato il dossier al vice capo di gabinetto Giorgio Sorial, che ha praticamente interrotto le interlocuzioni sia con i sindacati che con l’azienda e gli enti locali. In particolare Jindal per poter procedere alla fase due ha richiesto una concessione per una discarica attigua così da risparmiare sui costi di trasporto per lo smaltimento, e uno sconto sul costo dell’energia del forno elettrico. Anche qui tornano le somiglianze con Ilva. Infatti se fino ad ora l’acciaieria tarantina è quasi autonoma sul gas è perché riutilizza negli impianti quello prodotto negli altoforni. Con i nuovi forni elettrici che il governo vorrebbe alimentati a “dri” (gas e minerale di ferro) ci sarà bisogno, come Calenda ha sempre sostenuto, di un forte sconto sul gas. Michele Emiliano ha detto che alla presenza dell’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano aveva convinto il ministro dell'Azerbaijan a dare il gas per Ilva al costo del carbone in cambio della Tap. Ma se qualcuno dovesse chiederglielo oggi, mentre è di questa settimana l’ennesima costituzione della regione Puglia contro tap, certamente direbbe che non l’ha mai detto.

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