PUBBLICITÁ

E’ dura, De Meo

Ugo Bertone

Il nuovo ceo del Gruppo Renault dovrà agire con l’accetta per salvare l’alleanza franco-giapponese

PUBBLICITÁ

Il flirt tra John Elkann e i vertici di Renault, a suo tempo già coltivato con cura da Carlos Ghosn, finì senza troppi rimpianti meno di un anno fa, subito dopo l’avvio dei contatti ufficiali tra i due gruppi. Colpa dell’intransigenza francese, si disse allora. Ma, considerate le notizie che giungono dal quartier generale di Nissan, il giudizio va probabilmente corretto. “Elkann – spiega Giuseppe Berta, il bocconiano storico dell’auto – fu lesto a capire in quale ginepraio rischiava di finire”. Luca De Meo, l’allievo prediletto (poi ripudiato) da Sergio Marchionne che martedì scorso è stato nominato amministratore delegato del Gruppo Renault, è consapevole delle difficoltà della missione si salvare l’alleanza franco-giapponese, una priorità assoluta per Emmanuel Macron, ma non è certo tipo da spaventarsi. Il manager italiano, fino a pochi giorni fa presidente di Seat, non potrà assumere l’incarico prima di luglio per vincoli contrattuali con il gruppo Volkswagen. Eppure, ancor prima di scendere in campo, ha già avuto un assaggio di quel che lo attende a Parigi, dove sarà necessario agire con l’accetta per affrontare la crisi dei conti (sono stati bruciati oltre 700 milioni di cassa nella seconda parte del 2019, quella che doveva segnare l’avvio della ripresa del dopo Ghosn) e il rischio di un aumento di capitale, secondo gli analisti di Citi necessario per non sacrificare il 43,8 per cento in Nissan, perno vitale della grande alleanza a tre (c’è anche Mitsubishi) che è il fiore all’occhiello dell’industria pubblica francese. Peccato che il colosso a tre, figlio della stagione dell’economia globale, rischi di andare in pezzi dietro gelosie e rivalità che continuano ad affliggere i samurai di Nissan, orfana dell’imperatore Ghosn, sfuggito in maniera rocambolesca alle maglie della giustizia nipponica.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Il flirt tra John Elkann e i vertici di Renault, a suo tempo già coltivato con cura da Carlos Ghosn, finì senza troppi rimpianti meno di un anno fa, subito dopo l’avvio dei contatti ufficiali tra i due gruppi. Colpa dell’intransigenza francese, si disse allora. Ma, considerate le notizie che giungono dal quartier generale di Nissan, il giudizio va probabilmente corretto. “Elkann – spiega Giuseppe Berta, il bocconiano storico dell’auto – fu lesto a capire in quale ginepraio rischiava di finire”. Luca De Meo, l’allievo prediletto (poi ripudiato) da Sergio Marchionne che martedì scorso è stato nominato amministratore delegato del Gruppo Renault, è consapevole delle difficoltà della missione si salvare l’alleanza franco-giapponese, una priorità assoluta per Emmanuel Macron, ma non è certo tipo da spaventarsi. Il manager italiano, fino a pochi giorni fa presidente di Seat, non potrà assumere l’incarico prima di luglio per vincoli contrattuali con il gruppo Volkswagen. Eppure, ancor prima di scendere in campo, ha già avuto un assaggio di quel che lo attende a Parigi, dove sarà necessario agire con l’accetta per affrontare la crisi dei conti (sono stati bruciati oltre 700 milioni di cassa nella seconda parte del 2019, quella che doveva segnare l’avvio della ripresa del dopo Ghosn) e il rischio di un aumento di capitale, secondo gli analisti di Citi necessario per non sacrificare il 43,8 per cento in Nissan, perno vitale della grande alleanza a tre (c’è anche Mitsubishi) che è il fiore all’occhiello dell’industria pubblica francese. Peccato che il colosso a tre, figlio della stagione dell’economia globale, rischi di andare in pezzi dietro gelosie e rivalità che continuano ad affliggere i samurai di Nissan, orfana dell’imperatore Ghosn, sfuggito in maniera rocambolesca alle maglie della giustizia nipponica.

PUBBLICITÁ

 

A confermare che la situazione è sempre più grave ci ha pensato martedì un imbarazzante incontro stampa in cui l’attuale numero uno Machoto Uchida, fino a pochi mesi fa responsabile della casa nipponica in Cina, ha fatto scena muta cedendo spazio ad Ashwani Gupta. Il Financial Times ha ironizzato sul “manager invisibile” in evidente disagio. Uchida, che non ha finora preso le distanze dai clamorosi errori della passata dirigenza (abile peraltro ad attribuirsi favolosi bonus) ha confermato l’impressione di non essere all’altezza di un compito molto complesso a cui è approdato per volere della vecchia guardia, vedi Yasuhiro Yamoichi, che vede nella denuncia e nel processo a Ghosn l’occasione per far piazza pulita dei criteri di gestione occidentali e per riprendere autonomia, a partire dal design e dalla gestione delle fabbriche del modello Giappone. Difficile che i vari conflitti in seno all’alleanza non esplodano nei prossimi mesi.

 

PUBBLICITÁ

Le difficoltà di Renault, che ha bisogno a detta degli esperti di un profondo make-up dei suoi prodotti di punta, sembrano persino poca cosa rispetto ai guai del partner giapponese che, dopo aver già annunciato 14 mila esuberi e la chiusura di quattro stabilimenti, pare intenzionato a tagliare altri 2 mila posti di lavoro e due fabbriche. In Europa e negli Stati Uniti, naturalmente, in linea con il tramonto del grande progetto globale dell’èra Ghosn. Si spiega così la decisione del board giapponese di puntare su una figura d’apparato, senza grande esperienza di gestione, scartando quello che era considerato il candidato naturale: Jun Seki, già incaricato del piano di ristrutturazione ma scartato dai nuovo vertici e costretto a riparare in casa di Nidec, il principale fornitore di Apple del Sol Levante. Al di là del risiko delle poltrone in casa Nissan, la partita che si apre oggi a Tokyo con il summit tra i partner dell’alleanza assume il sapore di un test sulle capacità di tenuta di un progetto industriale e finanziario pensato in un’epoca di grandi numeri e di grande crescita, oggi alle prese con uno scenario complicato dalla crisi e dal sovranismo economico.

Un clima agli antipodi di quello che ispirò i manga dedicati negli anni Ottanta a Carlos Ghosn, all’epoca giudicato un eroe della terra dei samurai. Chissà se lo stesso capiterà a Luca De Meo, che pure vanta nella sua carriera sei anni in casa Toyota.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ