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“Anche la Germania va male”, dicevano i sovranisti. La realtà è un'altra

Redazione

Godere per le sventure tedesche è stupido: la loro industria cresce. Schadenfreude e autocritica

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La schadenfreude, termine tedesco che indica una “gioia provocata dalla sfortuna altrui”, non porta bene all’Italia, dove pure quel sentimento è sempre stato molto utilizzato dalla politica, e quasi sempre con riferimento proprio alla Germania. Dunque, se il 2019 non si è rivelato l’anno bellissimo annunciato a suo tempo dalla maggioranza allora grillino-leghista, per un po’ si è data la colpa a “fattori esterni”: alla guerra dei dazi, ma soprattutto al brusco rallentamento della cosiddetta locomotiva europea. Questo dovuto, va da sé, sia alle colpe del governo di Berlino – aver concentrato tutti gli sforzi sull’export, in violazione, “proprio loro”, delle regole europee – e agli errori dell’industria, a cominciare da quella dell’Auto, vista come condannata a un lungo declino. “Anche la Germania va male”, dicevano con soddisfazione i sovranisti che da anni attendono il fallimento di Deutsche Bank per godere ancora di più. Beh, la realtà è un po’ diversa. I dati di novembre 2019 indicano una produzione industriale tedesca in salita dell’1,1 per cento, con sorpresa per gli osservatori che prevedevano un incremento massimo dello 0,8 e che ora immaginano nel terzo trimestre (anche il calo di ottobre è stato rivisto da -1,7 a -1) una ripresa del pil, preludio a un migliore 2020. Da dove viene il recupero? Principalmente dalla manifattura e dalle costruzioni, mentre l’export cala del 2,3 riducendo a 18,3 miliardi il surplus commerciale. Ieri, a 24 ore di distanza, l’Istat ha diffuso le cifre sulla produzione industriale italiana, sempre a novembre: c’è una piccola risalita (0,1 per cento) dopo due mesi in rosso, ma l’indice tendenziale annuo registra il nono ribasso consecutivo lasciando prevedere un intero 2019 negativo di almeno un punto. Sarebbe per l’Italia il primo anno di produzione industriale in calo dal 2014 e, dicono gli analisti di Unicredit, la probabile conclusione del ciclo di espansione registrato nel quadriennio 2015-2018 a ritmi del 2 per cento l’anno. A quanto pare la Germania sta risolvendo da sola i suoi problemi; mentre noi italiani abbiamo meno alibi per la nostra crescita zero. Se maggioranza e opposizione vogliono ancora esercitarsi sul tedesco, vedere alla voce selbstkritik: autocritica.

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La schadenfreude, termine tedesco che indica una “gioia provocata dalla sfortuna altrui”, non porta bene all’Italia, dove pure quel sentimento è sempre stato molto utilizzato dalla politica, e quasi sempre con riferimento proprio alla Germania. Dunque, se il 2019 non si è rivelato l’anno bellissimo annunciato a suo tempo dalla maggioranza allora grillino-leghista, per un po’ si è data la colpa a “fattori esterni”: alla guerra dei dazi, ma soprattutto al brusco rallentamento della cosiddetta locomotiva europea. Questo dovuto, va da sé, sia alle colpe del governo di Berlino – aver concentrato tutti gli sforzi sull’export, in violazione, “proprio loro”, delle regole europee – e agli errori dell’industria, a cominciare da quella dell’Auto, vista come condannata a un lungo declino. “Anche la Germania va male”, dicevano con soddisfazione i sovranisti che da anni attendono il fallimento di Deutsche Bank per godere ancora di più. Beh, la realtà è un po’ diversa. I dati di novembre 2019 indicano una produzione industriale tedesca in salita dell’1,1 per cento, con sorpresa per gli osservatori che prevedevano un incremento massimo dello 0,8 e che ora immaginano nel terzo trimestre (anche il calo di ottobre è stato rivisto da -1,7 a -1) una ripresa del pil, preludio a un migliore 2020. Da dove viene il recupero? Principalmente dalla manifattura e dalle costruzioni, mentre l’export cala del 2,3 riducendo a 18,3 miliardi il surplus commerciale. Ieri, a 24 ore di distanza, l’Istat ha diffuso le cifre sulla produzione industriale italiana, sempre a novembre: c’è una piccola risalita (0,1 per cento) dopo due mesi in rosso, ma l’indice tendenziale annuo registra il nono ribasso consecutivo lasciando prevedere un intero 2019 negativo di almeno un punto. Sarebbe per l’Italia il primo anno di produzione industriale in calo dal 2014 e, dicono gli analisti di Unicredit, la probabile conclusione del ciclo di espansione registrato nel quadriennio 2015-2018 a ritmi del 2 per cento l’anno. A quanto pare la Germania sta risolvendo da sola i suoi problemi; mentre noi italiani abbiamo meno alibi per la nostra crescita zero. Se maggioranza e opposizione vogliono ancora esercitarsi sul tedesco, vedere alla voce selbstkritik: autocritica.

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