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La proposta Tridico è piena di buone intenzioni, ma rischiose

Elsa Fornero

Molto dirigismo, poca diversificazione. Il fondo complementare “autarchico” dell’Inps è un altro passo sulla via del declino

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Come quelle dell’Inferno, anche le vie del declino economico sono spesso lastricate di buone intenzioni. Il declino economico dell’Italia è anch’esso spesso associato all’entusiasmo per lodevoli propositi, solo apparentemente raggiungibili senza fatica, come l’abolizione della povertà con la semplice approvazione del decreto sul reddito di cittadinanza. L’obiettivo è senz’altro lodevole ma lo strumento (come ogni strumento) va calibrato, monitorato, corretto se necessario e soprattutto rafforzato nella parte di sostegno all’occupazione. Riconoscere tutto questo non è critica aprioristica ma richiamo alla complessità dei problemi.

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Come quelle dell’Inferno, anche le vie del declino economico sono spesso lastricate di buone intenzioni. Il declino economico dell’Italia è anch’esso spesso associato all’entusiasmo per lodevoli propositi, solo apparentemente raggiungibili senza fatica, come l’abolizione della povertà con la semplice approvazione del decreto sul reddito di cittadinanza. L’obiettivo è senz’altro lodevole ma lo strumento (come ogni strumento) va calibrato, monitorato, corretto se necessario e soprattutto rafforzato nella parte di sostegno all’occupazione. Riconoscere tutto questo non è critica aprioristica ma richiamo alla complessità dei problemi.

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La stessa sindrome da “buone intenzioni sbrigativamente realizzate” potrebbe manifestarsi se dovesse concretizzarsi un altro proposito, questa volta in ambito previdenziale, più volte espresso dal Presidente dell’Inps Pasquale Tridico: quello di creare, all’interno dello stesso Istituto (che pure di compiti da svolgere ne ha già davvero molti!) un fondo pensione a capitalizzazione destinato ai lavoratori meno fortunati, presumibilmente giovani, autonomi spesso non per scelta e privi di un fondo di categoria. Gli obiettivi di questo fondo sarebbero molteplici: anzitutto integrare con una pensione complementare, derivante da risparmio investito nei mercati finanziari, la futura pensione pubblica, tendenzialmente più magra, a parità di età di pensionamento, perché calcolata secondo la formula contributiva che tiene conto dei contributi versati e di un rendimento percentuale annuo pari alla crescita del pil.

 

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Un fondo volontario statale

 

Di fronte a un “cliente” pubblico delle dimensioni dell’Inps, i mercati finanziari non solo perderebbero quella connotazione genericamente negativa loro attribuita nella comune rappresentazione mediatica, ma permetterebbero anche – come altri obiettivi – di ottenere risorse da investire in Italia e di svolgere una funzione “anticiclica”, cioè di stabilizzare l’attività economica, sostenendola nelle fasi recessive e mitigandola in quelle espansive.

 

Anche in questo caso si tratta di finalità ottime in sé ma che poco hanno a che fare con una buona organizzazione del risparmio per l’età anziana, finalizzata a realizzare la massima valorizzazione dei contributi compatibile con un basso livello di rischio. Né si comprende come mai non siano sufficienti, a questo fine, una buona regolazione e supervisione pubblica dei mercati finanziari, come avviene in molti altri paesi europei, senza che sia lo stato a occuparsi direttamente anche della previdenza a capitalizzazione; con il rischio di chiedere troppo al sistema previdenziale (un errore spesso commesso in passato) e di stravolgere il percorso verso quell’impianto più trasparente, differenziato nel rischio e finanziariamente sostenibile, che l’Italia ha faticosamente costruito attraverso un lungo, tormentato e talvolta incoerente processo di riforma.

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Esso consta di due capisaldi: il metodo contributivo e la (peraltro limitata) diversificazione della ricchezza previdenziale dei lavoratori su due “pilastri” con caratteristiche diverse: quello pubblico a ripartizione, di gran lunga prevalente e soggetto ai rischi demografici ed economici, e quello privato a capitalizzazione che affronta invece il rischio finanziario. Nessuno dei due sistemi è perfetto ma la loro combinazione consente, in quanto i rispettivi rischi siano poco correlati, di ottenere una migliore copertura del rischio complessivo. Non soltanto, ma alla previdenza pubblica è naturale riconoscere una funzione solidaristica, o “assistenziale”, che ha ovviamente meno spazio all’interno di quella privata.

 

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La proposta di Tridico (che ha il sostegno del M5s e perciò di almeno una parte del governo) rimescola le carte, senza giovare né all’efficienza e trasparenza del sistema, né alla solidarietà. Tenendo conto delle “buone intenzioni” che sicuramente ne stanno alla base, essa può essere valutata sotto due profili, distinti pur se strettamente interconnessi nella realtà.

 

Grandi promesse garantite da alti rischi

 

Il primo è quello dei lavoratori che oggi non hanno accesso alla previdenza complementare per mancanza di un fondo pensione di categoria o per l’onerosità e la complessità dei fondi aperti e dei prodotti individuali; questi lavoratori potrebbero, su basi volontarie, iscriversi al fondo costituito presso l’Inps. Se si ritiene che tale fondo non debba offrire particolari agevolazioni fiscali o garanzie di rendimento – che ricadrebbero necessariamente sui contribuenti, ossia sulla fiscalità generale, ponendo così un problema di disparità di trattamento rispetto ai lavoratori iscritti agli altri fondi e riducendo la differenza rispetto al pilastro pubblico – il loro vantaggio principale potrebbe derivare dai più bassi costi di amministrazione, e perciò da un maggiore rendimento netto.

 

Peraltro questi lavoratori svantaggiati sono anche idealmente i destinatari della pensione di garanzia – uno degli elementi del nuovo cantiere previdenziale che il governo ha promesso di aprire in vista della scadenza di “quota 100” – che prevede, per i casi di carriere lavorative discontinue e povere, un importo minimo rispetto al mero calcolo contributivo. A parte che meglio di una “promessa” di pensione minima a valere tra qualche decennio sarebbe l’impegno pubblico a versare i contributi per i periodi nei quali un lavoratore è assente dal lavoro per disoccupazione, formazione o attività di cura, non va trascurato il rischio che il fondo finisca per configurare una seconda garanzia rendendo sfocato l’obiettivo principale di offrire ai lavoratori dal reddito medio-basso uno strumento che li aiuti a pianificare il futuro. Quest’obiettivo si potrebbe raggiungere con una campagna di formazione/informazione sull’importanza del risparmio previdenziale affiancata da un’adeguata negoziazione con i fondi aperti per un limite sulle spese di amministrazione, in modo da contenere i costi.

 

Il secondo profilo è macroeconomico e include la finanza pubblica, sempre affamata di risorse per l’incapacità di ridurre la spesa. Qui l’obiettivo dichiarato è quello di ampliare le disponibilità finanziarie destinabili, senza l’intermediazione bancaria, al sostegno degli investimenti in Italia e perciò allo sviluppo del paese. Che l’accesso al credito nel nostro paese non sia sempre dettato da considerazioni attinenti alla capacità dei progetti di generare valore aggiunto è dimostrato purtroppo dai non pochi casi di mala gestione del credito, nei quali l’interferenza politica tesa a favorire questo o quel progetto oppure questo o quel “personaggio” non è mancata, in una poco commendevole commistione tra affari privati e (pseudo) interessi pubblici. L’idea che il “pubblico” abbia maggiore capacità del “privato” nell’indirizzare le risorse finanziarie è, nel migliore dei casi, non dimostrata; mentre il compito del “pubblico” dovrebbe essere principalmente quello della regolazione e della sorveglianza a evitare imprudenza, favoritismi o, peggio, imbrogli. Senza contare l’interesse dei lavoratori a evitare di abbinare i rischi sul risparmio a quelli sul reddito da lavoro, ciò che avverrebbe se a guidare gli investimenti non fossero prudenziali regole di diversificazione (che includono, per esempio, una quota di impieghi esteri) ma considerazioni attinenti, per esempio, non meglio precisate politiche di “sviluppo del territorio” o altre finalità buone in apparenza ma largamente prive della capacità di creare valore aggiunto e quindi benessere.

 

Il presidente Tridico è sicuramente persona dalle molte buone intenzioni ma il lavoro per far funzionare l’Inps al meglio, per informare pienamente e correttamente i cittadini, per evitare lungaggini nelle pratiche o frodi nella concessione di benefici non gli manca di certo, e lo sta svolgendo. E questi compiti vengono prima di nuove “missioni” dai contorni assai problematici.

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