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I mercati sperano nell’“escalation controllata” in medio oriente

Mariarosaria Marchesano

Dopo lo scossone registrato nei primi giorni successivi al raid americano che ha ucciso Qassem Suleimani, è tornata una calma guardinga. Ecco perché

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Milano. Nulla è scontato quando in ballo c’è il rischio geopolitico più temuto del 2020, e cioè l’escalation delle tensioni in medio oriente, ma dopo lo scossone registrato nei primi giorni successivi al raid americano che ha ucciso uno dei più potenti generali dell’Iran, Qassem Suleimani, sui mercati è tornata una calma guardinga. Il prezzo del petrolio è sceso ben al di sotto del livello di guardia di 70 dollari al barile e le Borse europee hanno cercato di ritrovare l’ottimismo di fine 2019, scoraggiate solo nel finale dall’apertura debole di Wall Street. Le quotazioni dell’oro, restando ai massimi dal 2013 seppure in lieve discesa, dimostrano che la voglia di beni rifugio resta viva tra gli investitori nonostante la situazione sembri, per ora, sotto controllo. Passata la grande paura, ci sono almeno tre o quattro ragioni per cui gli indici dei mercati azionari non sono sprofondati e il prezzo del greggio ha cominciato ad arretrare e nessuna di queste ha a che fare con una sorta di “tifo” che, secondo qualcuno, gli investitori starebbero facendo per il presidente Donald Trump. Semmai, i motivi di un cauto ottimismo sono legati a previsioni e notizie macro valutate con maggiore freddezza rispetto alle ore immediatamente successive all’attacco americano. 

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Milano. Nulla è scontato quando in ballo c’è il rischio geopolitico più temuto del 2020, e cioè l’escalation delle tensioni in medio oriente, ma dopo lo scossone registrato nei primi giorni successivi al raid americano che ha ucciso uno dei più potenti generali dell’Iran, Qassem Suleimani, sui mercati è tornata una calma guardinga. Il prezzo del petrolio è sceso ben al di sotto del livello di guardia di 70 dollari al barile e le Borse europee hanno cercato di ritrovare l’ottimismo di fine 2019, scoraggiate solo nel finale dall’apertura debole di Wall Street. Le quotazioni dell’oro, restando ai massimi dal 2013 seppure in lieve discesa, dimostrano che la voglia di beni rifugio resta viva tra gli investitori nonostante la situazione sembri, per ora, sotto controllo. Passata la grande paura, ci sono almeno tre o quattro ragioni per cui gli indici dei mercati azionari non sono sprofondati e il prezzo del greggio ha cominciato ad arretrare e nessuna di queste ha a che fare con una sorta di “tifo” che, secondo qualcuno, gli investitori starebbero facendo per il presidente Donald Trump. Semmai, i motivi di un cauto ottimismo sono legati a previsioni e notizie macro valutate con maggiore freddezza rispetto alle ore immediatamente successive all’attacco americano. 

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Il più lapidario è stato Lachlan Shaw, della National Australia Bank: “Il mercato è chiaramente spaventato dalla potenziale interruzione dell’offerta di petrolio, ma non è detto che andremo per forza in quella direzione”, ha detto Shaw, che ha chiarito, però, che tutti gli scenari sono possibili. Secondo un’analisi di Ubs, il mondo può contare su abbondanti riserve di petrolio, di cui quella dell’Opec, pari a 2 miliardi di barili al giorno, è immediatamente disponibile. Se a questa si aggiunge la produzione russa, si arriva a 3,2 miliardi di barili al giorno. “Prevediamo ancora un mercato del petrolio in eccesso di offerta nel 2020, in particolare nel primo semestre, grazie anche alla crescita dell’offerta non Opec (da parte di Stati Uniti e Norvegia) che supera la modesta crescita della domanda”, spiega Ubs. Dunque non c’è ragione, almeno nel breve periodo, di temere che il prezzo del greggio torni a correre a un ritmo forsennato innescando una spirale inflazionistica che nella zona euro sarebbe temuta, come spiegano gli analisti di Hsbc, per gli effetti che avrebbe sulle politiche monetarie. La principale ragione per restare ottimisti è la prospettiva della pace-tregua commerciale che Stati Uniti e Cina dovrebbero raggiungere il 15 gennaio, con la sottoscrizione di un accordo che, però, non è chiaro se smantellerà gli aggravi tariffari dell’ultimo anno e mezzo.

 

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E ci sono anche altre due notizie che hanno rasserenato i mercati, come spiega in un report Moneyfarm. La prima è che il governo di Pechino, attraverso la banca centrale, ha promosso una ricapitalizzazione delle banche cinesi per 30 miliardi di euro, con l’obiettivo di sostenere l’economia del paese che sta rallentando. La seconda è che il mercato del lavoro tedesco, nel 2019, ha fatto registrare un anno record: nonostante la crescita economica sotto tono, la locomotiva d’Europa ha creato quasi 500 mila posti di lavoro, con salari reali in aumento. Insomma, il contesto sembra in miglioramento, come dimostra anche la previsione di crescita degli utili delle società europee, che per quest’anno dovrebbe attestarsi intorno al 10 per cento. Secondo Moneyfarm, una caratteristica della politica estera di Trump è stata quella di non temere di compiere azioni mirate, anche molte decise, mettendo in atto una sorta di “escalation controllata” dei conflitti con l’obiettivo di mostrarsi pronto a ogni soluzione e di scoraggiare ulteriori reazioni da parte degli avversari. “Questa strategia è molto rischiosa (e crea una buona dose di incertezza), ma ha funzionato contro la Corea del nord e contro Assad in Siria – spiega Moneyfarm nella sua analisi – Perciò, la situazione resta fluida e aperta a molteplici possibilità e potrebbe restare un tema ricorrente anche per i mercati nei prossimi mesi”.

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