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La musica è finita

Ugo Bertone

Bolloré vende Universal ed è pronto a cedere Mediaset

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Milano. Et voilà. Vincent Bolloré inaugura il 2020 all’insegna dei fuochi d’artificio mettendo a segno un colpo da maestro. La cessione del 10 per cento di Universal, una delle tre major che governano il regno della musica cui probabilmente farà seguito la vendita di una seconda quota, a un prezzo forse addirittura superiore a quello concordato ieri con i compratori, i cinesi di Tencent, che hanno accettato una valutazione complessiva del gruppo pari a 30 miliardi di euro, ovvero trenta volte gli utili. Mica male se si pensa che cinque anni fa, quando Bolloré prese il controllo di quella che era stata la divisione musicale degli studios Universal, la stima non superava i 7-8 miliardi di dollari.

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Milano. Et voilà. Vincent Bolloré inaugura il 2020 all’insegna dei fuochi d’artificio mettendo a segno un colpo da maestro. La cessione del 10 per cento di Universal, una delle tre major che governano il regno della musica cui probabilmente farà seguito la vendita di una seconda quota, a un prezzo forse addirittura superiore a quello concordato ieri con i compratori, i cinesi di Tencent, che hanno accettato una valutazione complessiva del gruppo pari a 30 miliardi di euro, ovvero trenta volte gli utili. Mica male se si pensa che cinque anni fa, quando Bolloré prese il controllo di quella che era stata la divisione musicale degli studios Universal, la stima non superava i 7-8 miliardi di dollari.

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Ma in quell’occasione monsieur Bollò rivelò quel fiuto che finora non l’ha accompagnato nelle sue avventure nel mondo dei media. E così, grazie alla fiducia accordata a sir Lucian Grainge, mito vivente dell’industria musicale, si è assicurato una scuderia di artisti che va dagli U2 a Taylor Swift, passando per Alicia Keys oltre al quasi monopolio della musica di lingua spagnola, la più scaricata sulla rete. Un tesoro che Vivendi ha messo a frutto in una cessione a una coppia di giganti: il Qia, il fondo sovrano del Qatar, assai presente nella finanza parigina, e Tencent, il gigante cinese dei videogame, partner industriale obbligato a cercare nuove forme di business dopo che le autorità di Pechino, preoccupate dalla febbre per i giochi elettronici tra i ragazzi del Celeste Impero, hanno imposto severi freni alla loro diffusione. Di qui la necessità per Tencent di puntare sulla musica, facendo leva sul patrimonio di abbonati accumulato sui videogame online per ragazzi. Assieme a Bolloré che a Capodanno ha potuto constatare di persona che, come suona il proverbio cinese, “la musica conforta i cuori e ci mette in una buona disposizione d’animo”. Insomma, quel che ci vuole per cancellare le disavventure di Canal+ e quelle in Italia dove, tra le minusvalenze miliardarie in Telecom Italia e le disavventure della campagna Mediaset, Vivendi ha raccolto solo dolori.

 

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Ma adesso, grazie ai 3 miliardi di euro incassati dai nuovi soci cinesi, cui ne seguiranno almeno altrettanti alla cessione della seconda tranche, per monsieur Vincent e il figlio Yannick (promosso presidente anche se il bastone del comando resta nelle mani del patriarca) la musica potrebbe cambiare per davvero. Dopo anni di guadagni magri e di debiti in ascesa, infatti, Vivendi ha non solo potuto abbattere il debito di 4 miliardi accumulato con le ultime operazioni (l’acquisto di Editis, della rete M7 e il rafforzamento della quota nella stessa Vivendi) ma accumulare un discreto tesoretto che può garantire maggior libertà di manovra vuoi in Francia, ove si tratta di far fronte all’avanzata di Netflix che ha già provocato una violenta emorragia di abbonati alla pay tv di casa solo in parte compensati dalla campagna d’Africa, vuoi in Italia.

 

Sul fronte di Tim, salvo sorprese sempre possibili, sembra ormai a portata di mano la pace tra Bolloré e il fondo Elliott, l’azionista che aveva esautorato, complice il ruolo della Cdp, la gestione di Amos Genish. Ora Bolloré sembra viaggiare in armonia con Paul Singer, il regista del fondo attivista che ora sembra più concentrato a chiudere con successo l’operazione Milan piuttosto che a dar battaglia sulle tlc. Più urgente, almeno nei tempi, la definizione dell’affaire Mediaset. Bolloré pare deciso a liquidare il 20 per cento del Biscione anche a costo di accumulare una minusvalenza sui 200 milioni di euro (in buona parte compensata da risparmi fiscali). Ma Mediaset, secondo quanto filtra dal gruppo francese, fa fatica a trovare un compratore di una partecipazione che finirà comunque parcheggiata nella holding di diritto olandese controllata, anche grazie al sistema del doppio diritto di voto garantito alle maggioranze, dal gruppo italiano. Non tutti hanno la fortuna di Bolloré che, pur incassando 3 miliardi freschi (più altri 3 in un secondo tempo), continuerà a governare Universal con una larga maggioranza.

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