Enrico Carraro (foto Carraro.com)

Carraro di Confindustria Veneto: “Basta col piccolo è bello, dobbiamo crescere”

Renzo Rosati

"L’economia a chilometro zero non funziona più. Bisogna internazionalizzarsi", dice il neopresidente 

Roma. “Per decenni abbiamo teorizzato il ‘piccolo è bello’. Analisi, convegni, seminari universitari. In particolare qui in Veneto, che della polverizzazione imprenditoriale ha fatto a lungo un modo di produrre, di essere, quasi un vanto. Ma l’economia a chilometro zero non funziona più, forse va bene a tavola ma non nell’industria né, come vediamo, nelle banche”. Enrico Carraro, 57 anni, a capo di un gruppo padovano che produce sistemi di trasmissione di potenza dall’agricoltura ai suv con stabilimenti in Italia, Argentina, India e Brasile, dal 28 ottobre è presidente della Confindustria Veneto, eletto all’unanimità. Parla con il Foglio nel momento della ufficializzazione delle nozze Psa-Fca, “il che” dice “è un evidente altro segnale. Tutti dobbiamo crescere e internazionalizzarci, compresa la mia azienda. Per acquisizioni, fusioni o per filiera, ma l’importante è avere chiaro che non regge più una visione d’impresa autarchica e territoriale. Anche le banche che per accompagnare le industrie sui mercati esteri devono avere una forte capitalizzazione e presenza globale”. Visione è una parola sulla quale Carraro insiste, anche per l’ormai prossimo (maggio 2020) rinnovo del vertice di Confindustria nazionale.

 

Prima di arrivarci però è utile capire che cosa il capo della seconda associazione imprenditoriale d’Italia pensa della salute del modello Nordest e di come il governo giallorosso dopo quello gialloverde si stia occupando della crescita. “Il nostro territorio ha bisogno di autocritica, non solo per le dimensioni delle sue aziende. Abbiamo due multinazionali, Luxottica e Benetton, casi a parte. Luxottica è certamente un modello di globalizzazione ma anche, su scala locale, di rapporti sociali e di welfare. Quanto a Benetton non posso discutere di ciò che è accaduto in questo anno, ma è la prima volta che vedo industriali additati con nomi e cognomi come criminali. Ma il Veneto non può continuare ad adagiarsi sul passato, l’occhialeria per esempio fuori da Luxottica soffre, come il turismo. Nel frattempo l’Emilia-Romagna ha creato poli d’avanguardia nell’automotive, nel biomedicale, nel packaging. C’è l’eterno ritardo nelle infrastrutture, ma anche nella formazione universitaria: la maggior percentuale di neolaureati che va all’estero è delle province venete. Significa che il nostro modello di business e di carriere non è più attrattivo”. Un anno fa gli industriali padani protestavano per la Tav, per la Brescia-Padova, per la Gronda. Il governo è cambiato, Salvini è all’opposizione e da lì si dichiara difensore del Pil. “Non è cambiato il giudizio di noi imprenditori, non c’è stata discontinuità. Quanto alla Lega bisogna distinguere tra la buona amministrazione al Nord e il progetto attuale di partito nazionale. E l’autonomia da sola non risolverà i problemi del Nord. Dunque il partito del Pil è uno slogan”.

 

Per Carraro una vera discontinuità sarebbe stata, per i giallorossi, mettere sull’istruzione tutte le risorse di quota 100, visto che il reddito di cittadinanza è presidiato dai Cinque stelle: “Poteva essere un segnale potente, concentrandosi sia sulle università sia sugli asili, visto il calo demografico e le difficoltà delle donne ad accedere al mercato del lavoro. Ma lo slogan era che per ogni pensionato di quota 100 si assumevano tre giovani…”. Altra discontinuità, secondo Carraro, sarebbe anche guardare davvero all’Europa con occhi diversi: “Basta con la retorica di Angela Merkel causa dei nostri guai. Noi la vediamo come un modello: ha insegnato alla Germania a fare sistema, ha sradicato l’odio sociale che invece serpeggia da noi, nessuno cura le sue industrie all’estero come fa lei. Non significa solo export e lavoro ma legittimazione dell’impresa come bene nazionale”. Si sono aperte le danze per la successione a Vincenzo Boccia alla Confindustria. Il Veneto è andato sempre diviso, dai tempi di Nicola Tognana. “Sui candidati non dico una parola, abbiamo il meccanismo dei saggi che funziona. L’importante è che Confindustria si faccia sentire, come di recente, recuperando i fondi di Industria 4.0 e contro la plastic tax. Mi creda, non era questione di evitare una gabella: la nostra impresa si è posta ben prima dei partiti il problema della riconversione ecologica e del riciclo, con tecnologie e investimenti che la politica neppure immagina. Confindustria però deve avere una visione da dare al paese, che si imponga sul chiacchiericcio. Istruzione, formazione, apertura al mondo anziché nazionalismo. Solo questa può essere la cifra dell’Italia se vuol recuperare lavoro e il proprio posto nel mondo”.

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