La manifestazione della Lega a Roma del mese scorso (foto LaPresse)

Dna economico dei populismi

Guido Tabellini

Crisi economica e reazione culturale, cause e conseguenze di una nuova dimensione politica (che è qui per restare)

L’ascesa di nuovi movimenti politici sta trasformando i sistemi politici di molte democrazie avanzate. Nello specifico stanno avvenendo tre cambiamenti:

 

1) Le dimensioni dello scontro politico sono cambiate. Il tradizionale conflitto economico e redistributivo tra destra e sinistra sta scomparendo. Al suo posto è emerso un nuovo conflitto tra nazionalisti e conservatori sociali da un lato e cosmopoliti e progressisti sociali dall’altro. Questo cambio nella dimensione del conflitto politico è evidente dai risultati elettorali e dal posizionamento dei partiti politici (Inglehart e Norris 2019), dai cambiamenti nella composizione dei sostenitori dei partiti (Piketty 2018), e dai dati dei sondaggi (Gennaioli e Tabellini 2019).

 

2) Il sostegno ai tradizionali partiti socialdemocratici è calato, sono emersi nuovi partiti che hanno rapidamente raccolto consensi, collocandosi nella nuova dimensione del conflitto politico.  

 

3) Molti di questi nuovi partiti, i cosiddetti populisti, fanno campagna su una piattaforma anti-establishment e anti élite, e sostengono di rappresentare i “veri interessi” del popolo (descrivendolo come un gruppo omogeneo).

 

Il tradizionale conflitto economico destra-sinistra sta scomparendo. Al suo posto è emerso un nuovo conflitto nazionalisti-cosmopoliti

Questi cambiamenti sono legati tra di loro. Per i partiti tradizionali è difficile collocarsi nella nuova dimensione politica, o per timore di perdere il proprio bacino elettorale tradizionale, perché i membri del partito potrebbero ostacolare questo cambiamento, oppure perché le loro promesse politiche avrebbero poca credibilità nella nuova dimensione politica. Il risultato è che il vuoto politico è stato colmato da nuovi partiti politici(nei sistemi maggioritari, dove l’ingresso di nuovi partiti è più difficile, da nuovi leader). Per enfatizzare il loro elemento di novità, ma anche per attrarre una base di sostenitori delusa e meno istruita, i nuovi partiti hanno adottato una retorica populista, e in molti casi i nuovi leder sono dei veri outsider non solo nel sistema politico ma anche nel mercato del lavoro nell’ambiente sociale (Dal Bó et al. 2019).

 

Perché sta succedendo?

Sono state proposte varie spiegazioni per capire questi fenomeni. Secondo l’ipotesi della “reazione culturale” (cultural backlash) gli elettori meno istruiti e di tendenza conservatrice stanno reagendo all’erosione graduale del loro sistema di valori in una società che percepiscono essere troppo progressista e cosmopolita (Norris e Inglehart 2018, Fukuyama 2018, Goodhart 2017). Altri hanno sostenuto che il consenso per i nuovi partiti anti establishment è una reazione ai problemi economici. Alcuni sondaggi e risultati elettorali mostrano che il sostegno ai populisti è sistematicamente correlato all’insicurezza economica (Guiso et al. 2017), alla perdita del proprio status sociale (Gidron e Hall 2017), e agli schock avversi del commercio internazionale (Autor et al. 2017, Colantone e Stanig 2017, 2018). 

 

E’ probabile che entrambe le spiegazioni evidenziano aspetti importanti di ciò che sta avvenendo. Tuttavia, resta aperta una domanda cruciale. In passato i problemi economici scatenavano una domanda di protezione attraverso lo stato sociale, favorendo i partiti social democratici e rafforzando i sindacati. Oggi sta avvenendo l’opposto - la crisi economica spinge gli elettori verso i partiti socialmente conservatori che a volte propongono la riduzione della spesa sociale e che non sono paladini di politiche economiche redistributive. Malgrado l’ampio aumento della disuguaglianza economica e il declino della mobilità sociale, chi resta indietro sembra essere più preoccupato dall’immigrazione e dai diritti civili che dalla redistribuzione, e a volte appoggia politiche economiche contrarie ai suoi stessi interessi. Perché?

 

Una possibile risposta è che questo sia il riflesso dell’offerta politica, segnata da uno spostamento dei partiti socialdemocratici verso di politiche socialmente progressiste e di deregulation, negando i desideri e gli interessi dei loro sostenitori tradizionali (Judt 2011). In assenza di altre opzioni politiche, i perdenti della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica si sono rivoti verso i nuovi partiti populisti. Tuttavia, l’ascesa del populismo è un fenomeno globale e non può essere spiegato solo come il risultato degli errori dei politici della sinistra mainstream. Come è possibile che i partiti social democratici abbiano compiuto ovunque un così grande errore politico?

 

In uno lavoro con Nicola Gennaioli, proponiamo una risposta alternativa, basata esclusivamente sul lato della domanda del sistema politico. La competizione è strutturata attorno alla rivalità tra gruppi sociali: noi contro loro. Ma chi siamo “noi” e chi sono “loro”? In passato questo aveva a che fare con le distinzioni di classe e le divisioni tra destra e sinistra. Come evidenziato da Norris e Inglehart, Fukuyama e altri, i cambiamenti sociali ed economici hanno reso più rilevante un’altra distinzione, basata sugli atteggiamenti culturali e sull'istruzione. La globalizzazione e la tecnologia hanno reso più rilevante questa distinzione, dato che i perdenti e i vincitori del nuovo ambiente economico sono in gran parte separati dal divario culturale ed educativo.   

 

Perché è importante ridefinire i gruppi sociali più rilevanti? Gli psicologici sociali hanno documentato che le categorizzazioni sociali, pur essendo utili a strutturare il mondo sociale, comportano delle distorsioni cognitive. Ci portano a ipersemplificare ed esagerare le differenze tra gruppi sociali. Inoltre, quando ci identifichiamo con un particolare gruppo sociale, incliniamo le nostre convinzioni verso le caratteristiche distintive di questo gruppo. Se il “noi” è la classe operaia e il “loro" è la borghesia capitalista, allora la divisione sarà tra destra e sinistra e i conflitti saranno strutturati attorno alle politiche economiche e redistributive. Un elettore di sinistra esagererà i benefici della tassazione progressiva e dello stato sociale, mentre il suo avversario di destra avrà delle convinzioni opposte.

 

Tuttavia, quando i gruppi sociali vengono ridefiniti, cambiano anche i valori e gli atteggiamenti politici. Se “loro” sono le élite colte e cosmopolite e “noi” siamo i cittadini della provincia, più conservatori ma meno istruiti, i conflitti saranno incentrati sulla globalizzazione, i diritti civili e l’immigrazione. Adesso si è esacerbata la polarizzazione attorno a questi temi, mentre il conflitto tradizionale tra destra e sinistra sullo stato sociale è diventato sempre meno rilevante.

 

Dunque, la trasformazione delle identità sociali, e il cambio nei valori e nelle preferenze politiche che ne è conseguito, può spiegare il motivo per cui la crisi economica viene associata a un minore sostegno alla ridistribuzione e a un aumento del conservatorismo socialeGli shock economici che hanno colpito le classi meno istruite e più conservatrici hanno aumentato le affinità tra chi fa parte di questo gruppo sociale. I tratti distintivi dei perdenti della globalizzazione e della tecnologia sono un basso livello di istruzione, idee di stampo conservatore, nessuna appartenenza ai sindacati e un basso reddito. Le politiche che richiedono riflettono questi tratti distintivi, e comprendono una percezione esagerata dei conflitti di gruppo interpretati secondo le dimensioni delle nuove identità sociali.

 

Perché adesso?

Nonostante i cambiamenti appena descritti riflettano vecchie tendenze, l’ascesa dei partiti populisti ha accelerato rapidamente durante gli ultimi dieci anni. Questo coincide con due eventi importanti: la diffusione dei social media e la crisi finanziaria globale. E’ molto probabile che entrambi i fenomeni abbiano contribuito al successo dei nuovi partiti populisti.

 

Il ruolo dei social media come causa dei movimenti populisti deve essere studiato con maggior attenzione. (Guriev et al. 2019 e Zhuravskaya et al. 2019 per una raccolta dei dati). Tuttavia, è probabile che la disintermediazione dalle tradizionali fonti di informazione abbia amplificato le reazioni emotive, gli stereotipi e le distorsioni che vengono generalmente associate all’estremismo politico. Inoltre, facilitando il contatto diretto tra cittadini e leader, i nuovi media hanno abbassato le barriere d’accesso alle nuove organizzazioni politiche.

 

La politica è rivalità tra gruppi sociali: noi contro loro. In passato questa distinzione riguardava le distinzioni di classe. Ora non più

La diffusione accelerata del populismo dopo l’ultima crisi finanziaria non può essere una coincidenza. Come mostrano i lavori di Funke e Mian, le crisi finanziarie del passato sono state seguite dalla radicalizzazione del conflitto politico e dall’ascesa di nuovi partiti estremisti. Questo non è sorprendente. Di una crisi finanziaria può essere facilmente incolpato l’establishment politico ed economico, e questo comporta una perdita di fiducia nelle istituzione esistenti e nei partiti tradizionali, favorendo la nascita di nuovi leader politici (Algan et al. 2017). Inoltre, politici populisti comportano molti rischi, perché sono nuovi e mai sperimentati e perché sostengono politiche radicali e non convenzionali. Come suggerisce la “teoria del prospetto” (prospect theory) di Quattrone e Tversky, questa rischiosità intrinseca rende i politici populisti attraenti per gli elettori delusi, che vedono di buon occhio il rischio perché gli fornisce un’opportunità di riconquistare ciò che hanno perso. I dati del SOEP tedesco (centro socioeconomico, ndt) confermano che gli elettori maggiormente delusi dalla situazione economica tendono a diventare amanti del rischio e rivolgersi verso i partiti populisti di destra (Panunzi et al. 2019).

 

Implicazioni

Se le opinioni sopra riassunte sono corrette, l’ascesa del populismo non è un fenomeno transitorio, ma è qui per restare. La globalizzazione e i progressi tecnologici non sono shock temporanei. Il divario culturale ed educativo associato a questi cambiamenti strutturali non verrà invertito; anzi, probabilmente diventerà ancora più rilevante. Allo stesso modo, il calo della mobilità sociale e l’aumento delle disparità tra le aree benestanti e quelle lasciate indietro probabilmente rafforzeranno la delusione economica e i sentimenti verso l’establishment.

 

Queste mutazioni hanno degli effetti profondi sui sistemi politici delle democrazie avanzate. Quasi dappertutto, i sistemi partitici erano strutturati attorno alla divisione tra destra e sinistra. La nuova dimensione del conflitto politico supera questo conflitto. Nei sistemi proporzionali, dove l’ingresso dei nuovi partiti è più agevole, questa trasformazione è stata accompagnata dall’ascesa dei partiti populisti. Nei sistemi maggioritari, come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la nuova dimensione del conflitto politico sta spaccando i partiti tradizionali, con esiti difficili da prevedere. In entrambi i sistemi elettorali ciò che era un conflitto politico uni-dimensionale è diventato un conflitto bidimensionale: sinistra contro destra, e cosmopolita contro nazionalista. Questa seconda dimensione si sovrappone all’appartenenza o meno all’establishment politico ed economico, e in Europa coinvolge anche l’integrazione europea.

 

Una volta che la polvere si è depositata, c’è la speranza che questi cambiamenti siano positivi? Un ottimista potrebbe sostenere che attraverso una maggiore rappresentazione degli interessi economici a lungo trascurati, il populismo potrebbe migliorare le condizioni dei perdenti della modernità e produrre degli esiti economici più equi e inclusivi. Personalmente sono scettico per molte ragioni. Con la loro retorica contro l’establishment, i partiti populisti tendono a essere mal consigliati e spesso propongono – e quando sono al potere perseguono – politiche inconsistenti o notoriamente controproducenti. Il rischio di errori politici è rafforzato da tre fattori: primo, il pregiudizio contro la redistribuzione che spesso accompagna il populismo di destra; secondo, l’enfasi sul raggiungimento dei risultati immediati, che può facilmente condurre a politiche miopi; e terzo, l’estremismo politico e il sostegno di nuove politiche radicali, che inevitabilmente comportano una maggiore assunzione di rischi. Da questo punto di vista, le lezioni del populismo in America Latina non sono incoraggianti.

 

La diffusione del nazionalismo pone un’altra minaccia vitale, non per politica domestica ma per l’ordine mondiale. Guardando avanti, alcuni dei temi più importanti richiederanno delle soluzioni globali. I politici nazionalisti invece sostengono lo smantellamento delle organizzazioni sovranazionali. Anziché andare avanti, fanno diversi passi indietro. I nazionalisti potrebbero avere ragione quando si lamentano che la globalizzazione e gli sviluppi tecnologici stanno lasciando indietro troppe persone. Ma le soluzioni non si possono trovare tornando ai negoziati bilaterali tra stati. Al contrario, le organizzazioni sovranazionali devono essere rafforzate e coprire un raggio ancora più ampio. Questo è il più grande pericolo causato dai movimenti nazionalisti e populisti - vogliono portare il mondo nella direzione opposta a dove dovrebbe andare.

 

(Articolo pubblicato su Vox, portale del Cepr – Centre for Economic Policy Research)

Di più su questi argomenti: