Foto LaPresse

Per Malacalza è finito il tempo dell'ambiguità su “che fare” con Carige

Mariarosaria Marchesano

Ora che le probabilità che il socio di controllo diventi un gruppo di credito cooperativo del Trentino Alto Adige, gli azionisti di maggioranza devono decidere se essere della partita

Milano. “Dovremo riscrivere il menu della mensa a base di polenta e canederli”: la battuta circola come propiziatoria negli uffici genovesi di Banca Carige nelle ore in cui le probabilità che il socio di controllo diventi un gruppo di credito cooperativo del Trentino Alto Adige sono molto aumentate. Si fa presto ad affezionarsi all’idea di un nuovo padrone se per tanti mesi si è temuto il peggio. La prospettiva di una soluzione privata per il salvataggio di Carige diventa possibile dopo che il Fondo interbancario per la tutela dei depositi e la trentina Cassa Centrale Banca – holding a capo di un centinaio di casse rurali che si estendono fino in Veneto e Friuli Venezia Giulia – hanno trovato un’intesa in extremis. Proprio quest’accordo ha permesso di rispettare la scadenza del 25 luglio con l’invio di una lettera d’intenti alla Bce, ma ci vorrà qualche giorno prima che i commissari siano nelle condizioni formulare alla Banca centrale europea una proposta dettagliata e vincolante sull’aumento di capitale da 700 milioni e la contestuale emissione del bond da 200 milioni per coprire l’intero fabbisogno patrimoniale.

 

Nel frattempo, la domanda fondamentale è: che cosa faranno i Malacalza, che oggi sono i maggiore azionisti di Carige con il 27,5 per cento? Sulla famiglia di imprenditori è in atto un pressing da più parti. Ieri i sindacati interni alla banca hanno chiesto che “tutti i soggetti coinvolti si esprimano formalmente e con la chiarezza dovuta sul riassetto”, sottolineando di avere sempre preferito una “soluzione industriale”, che poi è anche la via indicata a maggio scorso dallo stesso Vittorio Malacalza quando i commissari erano in trattativa con i fondi americani, poi defilatisi. Ma il fatto che il “cavaliere bianco” sia più italiano che mai e per di più un gruppo bancario (non un fondo) non è bastato ai Malacalza a sciogliere la riserva. Un silenzio che rischia di diventare un’alea sul salvataggio di Carige visto che i Malacalza hanno la facoltà di bocciare la proposta di riassetto quando a settembre sarà portata nell’assemblea dei soci.

 

L’inizio della crisi di Carige fu conclamato quando, a dicembre, la famiglia si rifiutò di sottoscrivere la ricapitalizzazione. I quotidiani liguri riportano indiscrezioni su un’iniziale apertura di credito al piano che prevede che la Cassa Centrale Banca diventi socia al 30 per cento nel giro di un anno e mezzo e diversi soggetti, privati e pubblici, interessati alla sottoscrizione del bond subordinato. Secondo questa tesi, ci potrebbe essere da parte dei Malacalza la disponibilità a sottoscrivere l’aumento di capitale accettando la diluizione della partecipazione. Ma si tratta di indiscrezioni che non bastano a tranquillizzare i commissari di Carige, che sanno bene che il vero potere che hanno i Malacalza non è quello di non partecipare all’aumento di capitale – considerato che il Fondo interbancario fa da paracadute – ma quello di bocciare tutto il progetto in virtù dei diritti di voto che gli derivano dall’attuale pacchetto azionario. Un’eventualità questa che, a quanto si dice, è stata presa in considerazione dalle Autorità di vigilanza, Bce e Bankitalia, arrivando a valutare – in estrema ipotesi – il ricorso alla normativa che consente l’esclusione dai diritti di voto di un socio quando in ballo c’è la tutela dell’impresa. Ma gli esperti della materia avvertono che una mossa simile dovrebbe essere sostenuta con argomentazioni granitiche, pena la nascita di un contenzioso giudiziario.

 

Ad ogni modo, per i Malacalza il tempo dell’incertezza è finito, devono decidere se essere della partita investendo nuove risorse con la speranza di rifarsi almeno in parte delle perdite passate oppure uscire con una perdita secca. Sembra questo l'esempio classico di imprenditori e azionisti di società quando restano vittime del “dilemma del prigioniero”, che nella teoria dei giochi mostra cosa succede quando si hanno a disposizione scelte contrastanti tra loro.