Carlo Bonomi (foto LaPresse)

"Sessanta giorni per salvare l'economia italiana"

Claudio Cerasa

“Crescita bassa, debito alto, sfiducia crescente, clima ostile all’impresa. Senza una svolta immediata, ad agosto, per l’Italia, può arrivare la tempesta perfetta”. Parla Bonomi, presidente di Assolombarda

Carlo Bonomi è il combattivo presidente degli industriali che si riconoscono in Assolombarda, l’associazione delle imprese che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza, attualmente la più grande di tutto il sistema confindustriale. Bonomi vive lavora e opera in uno dei distretti produttivi più in salute e più in forma d’Italia, dove l’industria dell’ottimismo pesa infinitamente più di quella dell’allarmismo, ma di fronte alla prospettiva di dover immaginare quale potrà essere la traiettoria economica che si appresta a imboccare il nostro paese nei prossimi mesi l’ottimismo della volontà, nelle parole di Bonomi, lascia il posto al pessimismo della realtà. Due giorni fa, la Commissione europea ha chiesto chiarimenti sulla mancata riduzione del debito da parte del governo italiano, dando cinque settimane di tempo per studiare una manovra correttiva credibile al ministro dell’Economia per disinnescare una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea che potrebbe costare una multa da 3,5 miliardi di euro. Sempre mercoledì, la Corte dei conti ha invitato il governo a intervenire per controllare il debito pubblico, spiegando che sia il reddito di cittadinanza sia quota 100 non hanno effetti benefici per l’economia italiana. Questa mattina il governatore di Bankitalia tornerà a illuminare, nel corso delle sue considerazioni finali, le criticità della bassa crescita italiana, i pericoli di uno spread troppo alto, i rischi di una prolungata sfiducia sui mercati internazionali. E oggi, in questa conversazione con il Foglio, Bonomi mette insieme i puntini e spiega perché l’Italia dovrebbe rendersi conto di essere come un paese che ha cominciato a ballare sul Titanic. “Il nostro è un paese solido ma per continuare a esserlo a lungo dovrebbe rendersi conto che non si può scherzare ogni giorno con il fuoco. Quando dico di non scherzare con il fuoco non mi riferisco a qualche concetto astratto bensì a un dato purtroppo drammatico che è quello relativo allo stato di salute della fiducia italiana. In molti, anche al governo, sembrano non essere interessati al tema ma è ormai un anno che chi guida il nostro paese offre con buona continuità ragioni per terrorizzare chi ogni giorno deve decidere se investire o meno in Italia. Una volta con qualche affermazione azzardata sul debito, altre volte con qualche affermazione azzardata sul deficit, altre volte ancora con qualche affermazione azzardata sul nostro rapporto con l’Europa. Può piacere oppure no ma è un dato di fatto difficilmente contestabile che un anno fa il termometro che misura ogni giorno il grado di fiducia del nostro paese segnava quota 130, e parlo naturalmente dello spread, del differenziale di rendimento fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi a dieci anni, e oggi quello stesso termometro si trova a un passo da quota 300. Solo nel 2018, questo balzo ci è costato 1,8 miliardi di euro di spesa aggiuntiva per gli interessi da pagare sui titoli di stato. Solo nel 2019, questo balzo ci costerà 4,5 miliardi di euro. Solo nel 2020, questo balzo ci costerà 6,5 miliardi. E ciò che più mi preoccupa è che più ci avviciniamo alla prossima legge di Stabilità e più l’atteggiamento del governo mi sembra simile a quello irresponsabile imboccato nei mesi che hanno preceduto l’ultima Finanziaria. Occorrerebbe ricordarsi che difendere i conti pubblici, rispettare le regole, non giocare con il deficit e interessarsi alla riduzione del debito pubblico non è una richiesta da burocrati ma è una richiesta da persone con la testa sulle spalle, una richiesta di chi sa perfettamente cosa vuol dire alimentare una spirale di sfiducia in un paese che cresce poco, che spende tanto e che si indebita ogni giorno di più”. Bonomi condivide le preoccupazioni della Commissione europea e della Corte dei conti sull’Italia, evidenzia “l’impatto inefficace che hanno avuto sulla crescita due riforme chiave del governo come reddito di cittadinanza e quota 100”, ricorda che il nostro paese “ha un gap di crescita molto forte con il resto dell’Europa”, rivendica di aver segnalato per tempo che le previsioni fatte dal governo sul 2019 prima dell’ultima legge di Stabilità “non avevano nulla di conforme alla realtà” e rispetto alla prossima Finanziaria segnala qual è la parola – o meglio la domanda senza risposta – che al momento contribuisce più di ogni altra affermazione ad aumentare la sfiducia nei confronti del nostro paese: ok, ma come? 

 

“Se c’è qualcosa di più pericoloso rispetto alla politica degli annunci irresponsabili è quella di fare annunci senza spiegare in che modo si intende realizzare ciò che si è scelto di promettere. La prossima legge di Stabilità, lo sappiamo tutti, sarà molto gravosa, ci saranno buona parte delle risorse che verranno assorbite dal tentativo di disinnescare le clausole di salvaguardia, che solo sul 2020 valgono 23 miliardi, ma quello che chi governa oggi fatica a capire è che ogni volta che viene messa sul tavolo una proposta di legge onerosa, priva di indicazioni sulle sue coperture, si crea una nuova spirale di sfiducia nei confronti dell’Italia: non sapendo come si andrà a finanziare una legge ogni opzione è possibile, persino quelle più apocalittiche. Mi chiedo: ne vale davvero la pena?”. Bonomi si rende conto che quando si parla di spread, di rendimenti di titoli di stato, di interessi aggiuntivi che ricadono sulla spesa pubblica l’attenzione degli elettori non è mai alta fino a quando i problemi annunciati non diventano reali, veri, tangibili sulla vita delle persone. Oggi, ammette Bonomi, il tema dello spread è ancora un dibattito che appassiona gli addetti ai lavori ma il presidente di Assolombarda non si nasconde e spiega che il tempo per giocare con il fuoco potrebbe finire nel giro di sessanta giorni. “Sono convinto che l’Italia abbia due mesi di tempo, giugno e luglio, per dimostrare di aver cambiato rotta rispetto al percorso della irresponsabilità. Il mese di agosto, purtroppo, è un mese in cui storicamente, anche per il ridotto numero di operazioni che si effettuano in quel periodo che rende rilevante anche uno spostamento di flussi finanziari di piccole dimensioni, il nostro paese è più esposto alla speculazione e se l’Italia si ritrovasse a metà agosto con un governo ancora titubante, con un debito fuori controllo e con una tempesta finanziaria alla vigilia di una serie di importanti valutazioni sul rating è difficile dire come potrebbe andare a finire”. Bonomi individua nella lunga campagna elettorale vissuta negli ultimi mesi dal nostro paese, che ha immobilizzato l’attività del governo, come una delle ragioni che hanno maggiormente indebolito il nostro paese e si augura anche per questo che non vi sia a stretto giro un’altra campagna elettorale. Immaginare come il governo possa cambiare direzione rispetto al passato è un esercizio difficile da mettere in atto ma il presidente Bonomi ci prova e spiega cosa dovrebbe fare il governo per ridare fiducia ai molti investitori che negli ultimi mesi la fiducia nel nostro paese l’hanno progressivamente persa. “Un paese che non dà un indirizzo di politica economica chiaro alimenta la sfiducia, e questo è evidente, ma se mi si chiede uno sforzo per dire cosa servirebbe per ridare credibilità all’Italia sono disposto a farlo. Il primo punto che andrebbe affrontato riguarda la necessità da parte di questo governo di tornare sui propri passi non solo su Industria 4.0, cosa fatta, anche se molto lentamente, ma anche sugli investimenti. Un paese che non investe, e che utilizza le sue poche risorse solo per portare avanti misure assistenziali, è un paese che non cresce, e un paese che non cresce è un paese che non investe sul suo futuro e che scoraggia le imprese. Vale quando si parla di investimenti ma vale anche quando si parla di lavoro. La sfiducia viene creata quando un governo si muove a zig zag ma anche quando un governo spaventa gli imprenditori approvando leggi dal contenuto fortemente anti industriale come sono stati decreto dignità e decreto delocalizzazioni, per non parlare di tutto ciò che di negativo è stato fatto sulla giustizia: penso al blocco della prescrizione, penso alla scarsa attenzione mostrata sull’efficienza della giustizia, penso al disinteresse relativo al dramma della lunga durata dei processi. Fino a oggi, gli imprenditori e gli investitori sono stati trattati da questo governo come se fossero, come se fossimo, più un problema che una risorsa. Eppure una soluzione ci sarebbe”. E quale? “Bisognerebbe fare il contrario di quello fatto finora, rivedere la legge sul lavoro, intervenire sull’efficientamento della giustizia e capire che le riforme da fare si devono mettere in pratica gestendo i soldi che ci sono e non spaventando continuamente gli investitori lasciando intendere di essere pronti a mettere le proprie promesse su un piedistallo più importante rispetto alla sostenibilità della finanza italiana. Un’idea buona e fattibile, per mettere in campo uno choc fiscale che all’Italia servirebbe eccome, sarebbe quella di utilizzare i dieci miliardi del bonus 80 euro, una parte dei miliardi investiti nel reddito di cittadinanza e in quota 100 e spostare tutto in un’unica grande riforma: un grande taglio del cuneo fiscale tutto a favore dei dipendenti, non per far risparmiare le aziende ma per mettere in tasca ai dipendenti più soldi rispetto a oggi”.

 

Il governo si deve occupare di rimettere in moto il lavoro ma secondo Bonomi si deve occupare anche di altro: di essere a fianco delle grandi aziende italiane quando queste si proiettano nei mercati più importanti del mondo. “Il modo in cui il governo italiano seguirà l’alleanza che Fca e Renault stanno mettendo in campo nel settore automobilistico sarà indicativo per capire se la politica riuscirà a essere per la grande industria più un alleata o più un peso. E lo stato italiano, piuttosto che cercare un modo per entrare con Cdp all’interno di questa partita, dovrebbe preoccuparsi prima di tutto di utilizzare tutta la sua diplomazia per conquistare la fiducia della classe dirigente giapponese, che attraverso Nissan fornirà un parere decisivo per portare a termine l’operazione. Vale quando si parla di auto ma vale anche quando si parla di grandi player italiani e rispetto al futuro mi viene da chiedere se il governo ha intenzione o no di aiutare attraverso un piano di sgravi e semplificazioni negli investimenti tutte le aziende che ogni giorno investono parte della propria ricchezza italiana. Fino a oggi l’aiuto non c’è stato, quando ci sarà forse l’Italia potrà ricominciare a correre. Nella storia recente del nostro paese è un fatto che il pil è cresciuto solo quando sono cresciuti gli investimenti privati. Oggi in Italia gli investimenti sono molto bassi, il rischio paese è innegabilmente molto alto, le nostre alleanze in Europa difficilmente ci offriranno la possibilità di darci quello che meritiamo, ovvero un commissario pesante all’Economia o all’Industria, e gli investitori internazionali percepiscono che non vi è un ecosistema favorevole per scommettere sul nostro futuro. Siamo un paese con capacità straordinarie ma oggi stiamo giocando con il fuoco della nostra credibilità. E il tempo per cambiare rotta potrebbe essere inferiore rispetto a quello che crediamo. Svegliamoci, è il momento”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.