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Fincantieri stile Atac

Redazione

Le vette assurde dello spoils system grillino e il modello Roma su scala globale

Forti dello straordinario successo di pubblico e critica per l’operato al governo del paese, i 5 stelle si dedicano con vigore rinnovato a un grande classico delle maggioranze d’ogni colore: le nomine nelle aziende pubbliche. Tra le quali spiccano per vicinanza cronologica Fincantieri, Snam e Italgas. Dopo Cdp, Ferrovie, Anas e Rai, l’attenzione è concentrata su Fincantieri, controllata dal Tesoro attraverso Cdp e dove da 17 anni è amministratore delegato Giuseppe Bono. La favoletta del “cambiamento” verrebbe facile, se non fosse che Bono è nel mezzo della complicatissima trattativa con Stx, cioè con l’odiata Francia. Non solo: il manager, che ha gestito l’azienda molto attento al consenso sindacale, è ora protetto dalla Lega, alleato (cosiddetto) di governo ma sensibile ai voti di Friuli Venezia Giulia e Liguria, maggiori basi produttive di Fincantieri. Poi c’è l’Italgas dove il presidente Lorenzo Bini Smaghi, un banchiere internazionale già membro del board della Banca centrale europea, ha il solo demerito di essere stato nominato in èra Renzi. Gravissimo per i 5 stelle. Ma ciò che è notevole è la modalità con la quale Luigi Di Maio si muove, attraverso il suo stratega Stefano Buffagni, sulla carta sottosegretario agli Affari regionali, di fatto addetto alle nomine. Se non si può rimuovere Bono i grillini puntano a ridimensionarlo rimpiazzando il presidente Giampiero Massolo, già diplomatico di alto rango, con un altro con deleghe sottratte all’attuale ad. E chi è l’asso nella manica di Di Maio & Co.? Paolo Simioni, capo di Atac, la municipalizzata romana dove era planato via Massimo Colomban, già assessore nel primo periodo della giunta Raggi su indicazione di Beppe Grillo, contro il quale ora spara a zero. Stare al vertice della più scassata azienda di trasporti pubblici d’occidente, e senza più adeguate coperture nel M5s, è scomodo per Simioni e per il Campidoglio; dunque – dicono i 5s – risolviamo il problema mettendolo alla guida di una grande holding strategica. E’ il modello Roma su scala globale. Che si scontra con il modello Iri dell’usato sicuro, propugnato dalla Lega. La solita lottizzazione, certo. Ma del cambiamento e di cittadinanza, cioè “bellissima”.

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