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Così l’Italia azzera credibilità e investimenti

Renzo Rosati

Quale reputazione può avere un governo che taglia le opere pubbliche e l’occupazione connessa a favore di pensioni e sussidi tipo reddito di cittadinanza?

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In che cosa consiste la credibilità internazionale di un paese, requisito che secondo le opinioni concordi dello stesso governo, della Commissione europea, della banca centrale europea e soprattutto dei mercati, l’Italia deve recuperare al più presto se non vuole rischiare il crac? Ecco un esempio.

   

Tra il 2007 e il 2017 il crollo degli investimenti pubblici e privati è stato in Italia del 23 per cento, rispetto al calo del 4,6 di media europea. E di questo trend oltre la metà riguarda le infrastrutture. Sono i dati più recenti di Eurostat e dell’Istat, un elemento che manca totalmente dall’analisi costi-benefici prodotta dalla commissione Tav del ministro a M5s Danilo Toninelli. Sulla base di quelle percentuali l’Ocse, ad agosto scorso, ha quantificato in 8,1 miliardi gli investimenti pianificati in Italia e successivamente cancellati, ai quali per volere dei grillini dovrebbero aggiungersi i 7,6 miliardi della Torino-Lione: cifra relativa al valore lordo iniziale dell’opera da parte italiana e da non confondersi ai quasi equivalenti 7 miliardi che, stando alla commissione, sono definiti costi al netto dei benefici. Costi che come è ormai noto si basano per 2,9 miliardi sui mancati introiti delle (ex) odiate concessionarie autostradali e per 1,6 sul minore incasso delle accise sul carburante. Due capitoli, introiti privati il primo, fiscale legato al consumo di carburante inquinante il secondo, che debuttano in questo genere di rapporti proprio sotto il sole del cambiamento grillino. Dunque, avremo 13,8 miliardi in meno di investimenti, dal 2007 ad oggi, nel settore della logistica e delle infrastrutture; settore che la manovra di bilancio gialloverde per il 2019 ha già taglieggiato riducendo di due miliardi gli investimenti in conto capitale di ferrovie, di cofinanziamento al fondo per le politiche comunitarie, alla mobilità urbana. La Tav, poi, prevede 43 appalti in Italia entro il 2019, il che dovrebbe portare a 50 mila gli 800 lavoratori già presenti nei pochi cantieri aperti, molti dei quali si sono trasferiti sul versante francese. Tuttavia Paolo Beria, uno dei cinque commissari di Toninelli che hanno votato contro la Tav – manca Pierluigi Coppola, unico a non firmare la relazione e anche unico ad aver lavorato con la precedente struttura voluta dall’ex ministro Giuliano Delrio –, scriveva già dal 2011, per lavoce.info, sotto il titolo “Trasporti guidati dai luoghi comuni”. Beria, associato nel dipartimento di Economia dei trasporti del Politecnico di Milano (cattedra che era stata del capocommissione Marco Ponti) afferma che tra i “luoghi comuni” ci sono: “Il gap infrastrutturale tra Italia e altri paesi europei”; “il fatto che questo gap renderebbe l’Italia meno competitiva”; “la necessità di puntare sui corridoi infrastrutturali a meno di non voler ‘perdere il treno per l’Europa’”; “la rigida associazione tra infrastrutture, sviluppo e occupazione”; “il mitico ‘verde’ secondo cui con adeguati investimenti in ferrovie e trasporto pubblico si potrebbe ottenere un significativo cambio del modello di sviluppo”; “l’interesse del paese minacciato dai ‘professionisti del no’”. Parole che lette oggi assumono un senso, oltre che spiazzante, decisamente profetico.

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Resta il fatto che “luoghi comuni” o meno, a partire dal 2015 la Germania, la Francia e il Regno Unito hanno iniziato a recuperare gli investimenti in grandi opere persi con la crisi, in misura più che doppia rispetto all’Italia, cioè spendendo tra pubblico e privato poco sopra e poco sotto i 10 miliardi di euro l’anno. Un altro modo di misurare la credibilità internazionale dell’Italia è la congruità dei fatti rispetto alle intenzioni proclamate dal governo. Di fronte al crollo del pil e al calo dell’occupazione sia il premier Giuseppe Conte sia Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Toninelli hanno annunciato un massiccio piano di investimenti. Che però era stato quantificato in 82 miliardi ad agosto 2018, ad ottobre era sceso a 38 in 15 anni, fino a ridursi a 20. La Confindustria ha appena ricordato come in questo momento siano bloccate 27 grandi opere al di sopra dei 100 milioni, “il cui riavvio darebbe lavoro a 400 mila persone con una ricaduta sull’economia di 86 miliardi”, mentre solo nel settore delle costruzioni si sono persi 600 mila posti. Far ripartire il pil e l’occupazione ovviamente fa bene soprattutto all’Italia, ma è anch’essa una grande questione di credibilità: oltre al fatto che sulla crescita sono parametrati debito e deficit, quale reputazione può avere un governo che taglia le opere pubbliche e l’occupazione connessa a favore di pensioni e sussidi tipo reddito di cittadinanza, mentre il gran capo del partito della decrescita, Di Maio, preconizza “un boom senza precedenti grazie al digitale”?

   

Paolo Foietta, commissario governativo straordinario e presidente dell’osservatorio della Torino-Lione, insediato nel 2015 e per questo mai ascoltato dall’esecutivo attuale – anzi, per domani gli è stata chiesta la restituzione del badge e “altri strumenti di lavoro” – alla lista della credibilità perduta aggiunge una parola forte, “truffa”. Dice al Foglio: “Non so se si tratta di dolo o colpa grave, il piegarsi alle esigenze del principe, cioè della politica attuale, è comunque chiaro. I costi sono gonfiati, non del 5 o 10 per cento, ma del 50. Per dire: da nessuna parte c’è traccia del co-finanziamento europeo. L’inflazione viene considerata un costo, quando tutti gli organismi mondiali la giudicano un portato della crescita. La provvista a carico del ministero dell’Economia viene conteggiata tutta assieme, mentre gli accordi prevedono un monitoraggio per tutta la durata dell’opera. Basterebbe questo per farsi ridere dietro non solo in Francia ma in Europa e nel mondo. Ma oggi oltre confine c’è in realtà più sconcerto e preoccupazione per un paese sempre meno affidabile, che butta all’aria un’infrastruttura che ha richiesto ben quattro trattati internazionali”. Foietta non esclude che l’Unione europea, oltre a farsi restituire gli 814 milioni già stanziati per la Tav possa bloccare 1,2 miliardi destinati all’Italia per altre opere, “Brennero compreso”.

     

Nel frattempo non è più così inverosimile che la Svizzera (a proposito di reputazione) proponga di sostituire l’intero corridoio ferroviario italiano della pianura padana con il collegamento Ginevra – Basilea – San Gallo – Monaco – Vienna, in parte già operativo. Se la visita di Di Maio & Di Battista alla periferia parigina ai gilet jaune doveva far dispetto a Emmanuel Macron, ecco il boomerang.

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