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Così la web tax colpisce un settore giovane che cresce più dell’economia

Marco Gay

Per finanziare reddito di cittadinanza e pensioni la manovra tassa l'innovazione digitale. Attenzione agli effetti collaterali 

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Forse a Palazzo Chigi non sanno che in Italia c’è un settore che cresce al 2,3 per cento annuo, ovvero più del doppio dell’economia generale, e che assume principalmente ragazzi tanto che nel 2017 erano ben 64mila le “web vacancy”, e che aiuta a creare nuove imprese come le 10 mila startup innovative o tutte quelle aziende più tradizionali che vendono il Made in Italy ovunque pubblicizzandosi sulle piattaforme digitali e esportando con l’e-commerce. Stiamo parlando del settore del digitale, che vale già oggi 70 miliardi.

  

Per far crescere l’economia e creare posti nuovi di lavoro che cosa sarebbe opportuno fare allora? Semplice: sostenere il digitale e l’Ict con sgravi fiscali per chi investe, capitale di rischio per le nuove imprese e infrastrutture digitali avanzate. E’ successo invece che, nell’ultima versione della manovra, il governo ha deciso di fare l’opposto: ha inserito la web tax, ossia una imposta che tassa al 3 per cento i ricavi realizzati nei servizi di pubblicità digitale, piattaforme online che consentono agli utenti di interagire tra loro anche per fornire beni o servizi, la trasmissione di dati generati dall’utilizzo delle piattaforme. Non sono esenti nemmeno le piattaforme editoriali, come denuncia la Federazione italiana editori giornali.

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Si dice che si applicherà solo ai giganti del web perché tassa le imprese che fatturano 750 milioni a livello globale e 5,5 milioni in Italia. Sulla carta potrebbe sembrare vero, ma in realtà potrebbe avere un effetto sistemico sia sulle piccole e medie imprese italiane sia sui consumatori, sotto forma di aumento dei prezzi anche dei beni più tradizionali comprati online. Senza contare il danno all’economia nazionale e al made in Italy in termini di sviluppo tecnologico, creazione di nuove imprese e export. Oggi tutta l’economia è digitalizzata e il comparto non può essere solo considerato come un business verticale ma come un elemento “orizzontale” e trasversale, in grado di abilitare nuove attività economiche e creare nuove opportunità di sviluppo. Basta pensare che più di 1 su 3 delle piccole e medie imprese presenti su Facebook in Italia ha “costruito la propria azienda” sulla piattaforma.

  

Si dirà che tanto anche l’Europa a breve farà una web tax. Vero, e come settore siamo consapevoli che sia necessario regolare il digitale e avere equità fiscale, ma allora perché fare una fuga in avanti solo italiana e non attendere una normativa almeno europea, o meglio ancora in area Ocse, che sia uniforme per tutti e non penalizzi la competitività delle aziende italiane che già scontano un livello impositivo molto alto, dal costo dell’energia superiore agli altri ad una burocrazia lenta?

  

Si dirà, poi, che non c’era altra scelta: per evitare la procedura di infrazione di Bruxelles serviva recuperare risorse fresche. Ma al netto del fatto che la stima di ricavare 600 milioni annui è molto superiore rispetto alle stime del mercato, davvero il corretto obiettivo di mantenere i saldi di bilancio a un livello prudenziale doveva passare da una nuova tassa anziché dalla riduzione delle spese correnti?

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Insomma la web tax appare come una accisa sulla innovazione e sui giovani per finanziare reddito di cittadinanza e pensioni a “quota cento”. Il settore del digitale dà lavoro a 100 mila professionisti solo nel digital marketing e quasi a 1 milione in generale. Servirebbe farlo crescere, non penalizzarlo. Servirebbe un dialogo costante con chi fa impresa innovativa non un emendamento “notturno”. Servirebbe un reddito di formazione sulle competenze digitali che mancano. A gennaio si apre la partita dei decreti attuativi e come associazioni di categoria con le imprese interessate siamo pronti ed auspichiamo di sederci e confrontarci con Mef, Mise e Autorità indipendenti competenti per contribuire a definire le regole attuative della norma ed evitare che abbiamo effetti sistemici su tutto il settore produttivo e sulla spinta a innovare e digitalizzare il sistema produttivo per contribuire maggiormente alla crescita del paese.

   

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Marco Gay è il presidente di Anitec-Assinform, associazione di information technology aderente a Confindustria

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