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Il Parlamento europeo taglia la Co2 (e il lavoro) nei trasporti

Maria Carla Sicilia

I nuovi limiti delle emissioni dovranno essere approvati dal Consiglio europeo, dove la Germania proverà a fare argine. L'appello delle associazioni di categoria: "Siamo preoccupati per l'occupazione" 

La transizione tecnologica nel settore dei trasporti potrebbe essere più veloce del previsto se il Consiglio europeo accettasse i target di riduzione della Co2 che oggi ha approvato il Parlamento di Strasburgo, sempre che l'industria automobilistica riesca ad adeguarsi alle nuove limitazioni e proteggere la propria filiera dai contraccolpi occupazionali, tecnologici e sociali. 

  

In base al voto del Parlamento, entro il 2020 le auto e i furgoni di nuova immatricolazione dovranno emettere in media il 20 per cento in meno di Co2, obiettivo che sale al 40 per cento nel 2030. La questione è una delle più dibattute nei corridoi europei perché assume un valore cruciale per dimostrare l'impegno dell'Europa nelle politiche ambientali, proprio ora che Donald Trump ha detto di voler eliminare i vincoli sulle emissioni per i produttori americani. Le ricadute sull'industria automobilistica che dovrà adeguarsi alle direttive sono però rilevanti e le associazioni di categoria hanno già manifestato la loro preoccupazione sugli impatti che si avranno dal punto di vista occupazionale. Una conseguenza che anche il Parlamento ha tenuto in considerazione, prevedendo un fondo per attivare corsi di riqualificazione professionale finanziato con le sanzioni alle case automobilistiche che non rispetteranno i nuovi limiti. 

  

Ma i rischi sulla competitività del settore, evidenziati tra gli altri dall'associazione europea dell'industria automobilistica (Acea), non hanno comunque impedito al Parlamento di superare le proposte dalla Commissione europea, che aveva dimostrato una prudenza maggiore limitando il taglio al 30 per cento. Non solo. Da Strasburgo è arrivata anche un'indicazione sulla quota di mercato che i produttori devono riservare ai veicoli a basse e bassissime emissioni, un indirizzo che favorisce la tecnologia elettrica a scapito delle altre. Così il 20 per cento delle auto e dei furgoni venduti entro il 2025 dovrà emettere meno di 50 g di Co2 al chilometro, percentuale che sale al 35 per cento nel 2030. 

  

Le case automobilistiche europee hanno già iniziato a diversificare la propria produzione, puntando soprattutto sull'ibrido ma anche sull'elettrico. Eppure, secondo il segretario generale Acea, Erik Jonnaert, confermare le direttive del Parlamento "sarebbe come costringere l'industria a una trasformazione drammatica in tempi record. Il voto di oggi rischia di avere un impatto molto negativo sull'occupazione nell'intera filiera". Uno degli aspetti collaterali che l'Acea sottolinea è la carenza di infrastrutture in grado di supportare la ricarica delle batterie. "I consumatori non possono essere costretti a comprare auto elettriche, senza l'infrastruttura o gli incentivi necessari", ha spiegato Erik Jonnaert. Ma l'altro fattore, ancora più critico per i produttori, è che le batterie, che rappresentano da un terzo alla metà del costo dei veicoli elettrici, dovrebbero essere importate per lo più da fornitori asiatici o americani. Il progetto di un'alleanza europea, proposta lo scorso anno, per accelerare la loro produzione in grandi quantità è ancora fermo al palo. 

  

Il documento approvato oggi sarà discusso il 9 ottobre dai ministri dell'Ambiente dei paesi europei, che dovranno esprimere una posizione condivisa da negoziare ancora con il Parlamento. L'obiettivo è arrivare a un accordo prima delle nuove elezioni europee, al massimo nei primi mesi del 2019. Il confronto sarà polarizzato intorno alla posizione della Germania, che ha già detto di voler tutelare la sua industria nazionale sostenendo i tagli al 30 per cento, e quella della Francia, sostenitrice di limiti maggiori. Il ministro italiano Sergio Costa, "tecnico" in quota 5 stelle, potrebbe essere favorevole a sposare la posizione francese. "La speranza è che il governo italiano esprima una posizione di equilibrio tra l’esigenza di decarbonizzazione e la sostenibilità della filiera industriale", scrive in una nota l'associazione nazionale dell'automotive, Anfia. In Italia sono circa 5.700 le imprese coinvolte nel settori, con più di 250 mila lavoratori, compresi quelli impiegati per produrre veicoli a combustione interna, circa 66 mila. Secondo un report dell'Acea a risentirne sarebbero in particolare il Molise e la Basilicata, regioni dove gli impiegati nel settore sono più del 20 per cento della forza lavoro residente.