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Ilva, delitto perfetto. Parla Corrado Carrubba, uno dei tre commissari

Annalisa Chirico

I rischi di chiusura e l’improvvisazione del ministro Di Maio

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Roma. Con la citazione di Alfred Hitchcock (“delitto perfetto”), il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio strizza l’occhio al suo elettorato che l’Ilva la vorrebbe chiusa, meglio un parco giochi; la strategia gialloverde impone di prender tempo: al tavolo delle trattative, il vicepremier tenta di strappare nuove condizioni sul vero nodo, i livelli occupazionali. Però “Ilva perde un milione di euro al giorno, la cassa di spesa corrente sarà vuota a fine settembre – dichiara al Foglio Corrado Carrubba, uno dei tre commissari della maggiore acciaieria europea a ciclo integrale – Se non si esce dall’impasse, tra poche settimane non ci resterà che procedere allo spegnimento in sicurezza degli altiforni e al collocamento dei lavoratori in cassa integrazione”. L’azienda, privatizzata negli anni Novanta, sottoposta al commissariamento governativo nel 2013 e, due anni più tardi, al regime di amministrazione straordinaria, naviga nella burrasca. Una gara si è svolta, l’aggiudicatario si chiama ArcelorMittal e tiene stretto in mano un contratto sottoscritto dal governo italiano.

 

“Gli eventi hanno preso una piega inaspettata – prosegue Carrubba – Stando agli accordi, dal prossimo 15 settembre gli indiani di Mittal dovrebbero subentrare nella proprietà dello stabilimento. Con questo andazzo, però, i colpi di scena non sono esclusi”. Nel braccio di ferro ingaggiato dal ministro Di Maio, con il suo predecessore Carlo Calenda piuttosto che con la controparte (Mittal “ha sempre agito in buona fede”, ha precisato il vicepremier), il coup de théâtre è dietro l’angolo. Forte del parere, per ora secretato, dell’Avvocatura dello stato, Di Maio afferma che “la gara, ancorché viziata, non si può annullare” e avvia l’ennesimo approfondimento con il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. “Un dossier cruciale per l’assetto industriale del paese richiederebbe un intervento in punta di fioretto, non a colpi di sciabola. Si assiste a un eccesso di improvvisazione in assenza di un’adeguata considerazione degli interessi in campo. Ilva è la principale industria italiana rimasta in piedi: nella fase di amministrazione straordinaria il livello di produzione che, a regime, si aggirerebbe attorno agli otto milioni di tonnellate di acciaio liquido è calato a cinque. Oggi siamo un player azzoppato, in uno stato di insolvenza conclamato dal tribunale di Milano. I trenta milioni di perdite su base mensile sono il frutto dei limiti di produzione e dell’incapacità di apparire affidabili. Chi firmerebbe un contratto con una società la cui stessa sopravvivenza è messa in discussione a giorni alterni?”.

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Stando alle dichiarazioni di Di Maio, l’Avvocatura rileva un profilo di illegittimità per eccesso di potere. “La mancata pubblicità non mi scandalizza, di solito gli atti di questo tipo non vengono divulgati per non favorire la controparte; tuttavia, considerando la pressione mediatica che lo stesso governo ha alimentato sul caso, avrei suggerito una divulgazione almeno parziale. Va poi chiarito che l’illegittimità di un provvedimento la decide la magistratura, non l’Avvocatura dello stato. A oggi, nessun giudice si è espresso in proposito. E’ una precisazione dirimente, altrimenti si generano equivoci come per Autostrade”. In che senso? “Il parere del premier Conte e del ministro Di Maio sulla necessità di revocare la concessione è l’autorevole convincimento di due esponenti dell’esecutivo; la caducazione come fatto giuridicamente conclamato è cosa diversa”.

 

Tornando a Ilva, un eventuale eccesso di potere comporta di per sé la nullità della gara? “Nient’affatto. Il governo potrebbe ritenere, nel rispetto della legge, che l’atto, ancorché illegittimo, risponda a un interesse pubblico superiore”. Ammettiamo che il governo faccia saltare il tavolo: esistono acquirenti alternativi? “Dopo la manifestazione iniziale di interesse da parte di una ventina di soggetti, alla fine sono rimasti due contendenti in campo: Mittal e la cordata di privati con Cassa depositi e prestiti. La prima acciaieria europea richiede investitori dalle spalle larghe in termini di risorse e know how. Lo stabilimento, inoltre, rappresenta un caso eccezionale di amministrazione straordinaria. Quanto all’eccesso di potere, l’allora ministro Calenda non riaprì la fase dei rilanci perché ritenne, confortato da un parere dell’Avvocatura, che l’interesse pubblico preminente imponesse di realizzare gli interventi ambientali nel più breve lasso di tempo”.

      

C’è poi il macigno dei due miliardi e mezzo di debiti, dei 17.493 creditori, inclusi 14 mila dipendenti e 2.600 fornitori. “Non esistono alternative agli indiani. Se il governo intende chiudere l’Ilva, lo dica apertamente, del resto è lecito immaginare per l’Italia un futuro di potenza turistica o gastronomica. In tal caso, qualcuno dovrà comunicare al ministro dell’Economia Giovanni Tria che servono cinque miliardi per rilevare lo stabilimento, saldare i debiti e indennizzare gli indiani. I costi astronomici sarebbero scaricati sui risparmi postali dei cittadini, via Cdp. L’intervento pubblico esporrebbe il paese al rischio di una procedura d’infrazione comunitaria per aiuti di stato”.

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Di Maio punta a ottenere condizioni più vantaggiose sui livelli occupazionali. “Il comportamento da avventurieri suicidi non agevola le trattative. Secondo il piano definito dal precedente governo, Mittal s’impegna a effettuare 10.200 assunzioni immediate; i restanti 3.800 lavoratori potranno contare su ammortizzatori sociali, uscite incentivate e impieghi in una società ad hoc specializzata nelle bonifiche. Nessuno rimarrà senza reddito”. Con la ripresa economica, l’Italia aumenta l’import dalla Germania. “La produzione di acciaio è ciclica: quando l’economia tira, la domanda lievita. Purtroppo, adesso che il pil torna lentamente a crescere, ci ritroviamo nell’impossibilità di trarre vantaggio dalla congiuntura positiva”.

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