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Per liberare dalla “schiavitù” i braccianti agricoli liberate i campi dagli uomini

Alberto Brambilla

Il caso di Foggia insegna che investire in tecnologia può eliminare il caporalato 

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Roma. Il conducente del tir che lunedì s’è schiantato contro un furgone carico di braccianti con la conseguente morte di 12 lavoratori extracomunitari ha detto ieri all’Ansa che la “tragedia era inevitabile”. Era inevitabile la dinamica dell’incidente: il furgone ha invaso la corsia opposta e s’è scontrato col camion. Ma la morte dei braccianti reclutati come manodopera a basso costo dai “caporali”, in un territorio come il foggiano dove operano diverse organizzazioni malavitose (la Società foggiana, la mafia garganica e la mala cerignolana) delle quali i “cravattari” di Mafia Capitale avrebbero timore, era (o sarà) evitabile.

 

Per essere pragmatici, come suggerisce Giuliano Cazzola, basterebbe che i comuni interessati offrissero un servizio navetta per i braccianti evitando di stiparli su mezzi insicuri. D’altronde è il secondo incidente in una settimana sempre in Puglia. Ciò garantirebbe l’incolumità, ma non migliorerebbe le condizioni di lavoro e di vita dei contadini che non vogliono essere più trattati da “schiavi”, come dicono loro stessi. Se ci sono dei lavoratori è perché le imprese preferiscono manodopera a costo infimo invece di investire in tecnologia (i magistrati hanno individuato sei aziende, cinque pugliesi e una molisana, dove le vittime avrebbero prestato servizio prima dei due incidenti stradali).

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In parte l’intera filiera – dal produttore, al distributore del prodotto, al consumatore finale – è da considerarsi responsabile. Se una passata di pomodoro costa 1 euro e 30 centesimi significa che si sta pagando più la bottiglia (il 10 per cento del costo) del suo contenuto (l’8 per cento), secondo calcoli Coldiretti. Un prezzo estremamente basso contiene un alto tasso di sfruttamento, e chi compra dovrebbe impararlo. I braccianti, in larga parte immigrati, non hanno rappresentanza forte. I sindacati confederali non indugiano sul lato oscuro del lavoro come si occupano con solerzia dei pensionati che sono loro iscritti. Tuttavia potrebbero fare molto. A cominciare dall’abbandono della tecnofobia che, si è visto in passato con la critica ai dispositivi indossabili di Amazon, alberga nella Cgil.

 

Spingere per l’avanzamento tecnologico dell’agricoltura fino a gradi di automazione elevata toglierebbe i braccianti dalla schiavitù. La raccolta di coltivazioni come grano, riso e soia sono automatizzate. Le macchine per la raccolta di pomodori vengono usate anche in Puglia da almeno vent’anni dalle grandi marche e fanno risparmiare 1.500 euro a ettaro, più dei braccianti. La ricerca giapponese sta poi studiando l’automazione per l’intero ciclo di coltivazione con macchine, sensori, trattori e robot. Rinnegare la tecnofobia e spingere le imprese a investire significa contrastare lo sfruttamento degli uomini.

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