La polizia austriaca al confine del Brennero (foto LaPresse)

L'Europa inizia al Brennero, o di come il sovranismo può fare disastri

Valerio Valentini

"Stiamo rischiando di generare una crisi vera, quella della nostra economia, per risolvere una crisi che non esiste", dice il vice presidente di Confindustria

Roma. “Cento chilometri di tir”. E’ questo, dice Stefan Pan, che bisogna figurarsi quando si parla del Brennero. “Sono ottomila gli autotreni che ogni giorno transitano per quella frontiera. Messi uno in fila all’altro – dice il vice presidente di Confindustria – formerebbero una catena ininterrotta lungo l’Autostrada del Sole che va da Firenze a Bologna”. Un’immagine che, c’è da augurarsi, “abbia bene in mente chi parla di blindare i confini”. E però, a poche ore di distanza dal vertice di Innsbruck – quello, cioè, dove s’incontreranno i ministri dell’Interno di tutt’Europa – il vice di Vincenzo Boccia prova a lasciare in secondo piano, almeno per un attimo, i numeri. “Chiudere il Brennero sarebbe un disastro per l’economia italiana, certo. Ma lo sarebbe ancora di più per l’idea di Europa nel suo complesso: ad attraversarlo liberamente, oggi, quel confine è forse il simbolo più emblematico dell’unità del continente”. Poi, però, ai numeri inevitabilmente si arriva. “Dalla frontiera tra Italia e Austria passa quasi il 70 per cento delle esportazioni italiane verso l’Europa”, dice Pan, che del resto – lui, bolzanino, per anni alla guida di Assoimprenditori Alto Adige – quei territori di confine li conosce bene. “Ci sono – prosegue – interi comparti dell’industria italiana, come quello degli ingranaggi per macchinari, che vendono in Germania quasi i due terzi della loro produzione, e che se insomma si bloccasse il Brennero, semplicemente crollerebbero”. E non serve ipotizzare lo scenario più catastrofico – quello, cioè, di una chiusura definitiva dei valichi alpini – per impallidire. “Anche un semplice rallentamento – osserva Pan – produrrebbe danni incalcolabili”.

 

A calcolarli, in verità, qualcuno c’ha già provato. Paolo Uggè, presidente della Federazione degli autotrasportatori italiani, dà conto dell’esito di alcune simulazioni elaborate nei giorni scorsi. “Un’ora di attesa in più per i nostri camion produrrebbe una perdita per l’economia italiana di oltre 370 milioni di euro all’anno, di cui 170 a carico dell’autotrasporto. E se l’attesa aumentasse ancora, i guai sarebbero ancora più gravi”. Tra l’Italia e l’Austria, prosegue Uggè, “transitano 125 miliardi di euro l’anno, in merci. Il nostro export verso Vienna vale 17 miliardi. Il Brennero, per noi che tra l’altro siamo un paese periferico, è vitale”.

 

Deve saperlo, evidente, anche Matteo Salvini. Il quale, però, forse in una gara al rialzo col suo omologo austriaco, nelle scorse settimane s’è lasciato scappare qualche dichiarazione “un po’ improvvida”, dice Uggè, “specie per le imprese del Nord Est che lui, e la Lega, dovrebbero rappresentare e tutelare con particolare interesse”. Come quando, ad esempio, a inizio luglio il ministro dell’Interno ha garantito, con maschia sicumera, che “se l’Austria vuole fare controlli, ha tutto il diritto di farlo. Noi faremo lo stesso e a guadagnarci saremo noi, perché sono più i migranti che tornano da noi che quelli che vanno da loro”. E qui sta l’equivoco, secondo Pan. “Sì, perché noi stiamo rischiando di generare una crisi vera, quella della nostra economia, per risolvere una crisi che non esiste. Le cifre sui migranti parlano chiaro: gli arrivi sono quasi irrilevanti, ora, anche grazie all’eccezionale lavoro svolto da Marco Minniti nei mesi passati”. E non a caso anche Uggè – il quale, da ex deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario ai Trasporti nel secondo e nel terzo governo Berlusconi, non può certo essere tacciato di “buonismo” – a Salvini lancia una controproposta: “Si vogliono inasprire i controlli sui migranti? Lo si faccia. Ma che quantomeno si istituisca un corridoio di libera circolazione dei trasportatori nell’area Schengen lungo il quale non si intralci il transito dei tir”. E Pan è ancora più esplicito, quando sentenzia che “fomentare paure immotivate rischia di avere delle ripercussioni enormi”. Come a dire che, lungo il piano inclinato del provincialismo sovranista di Salvini e soci, si rischia d’innescare un domino spaventoso. “Se passa l’idea che per ragioni di propaganda contro i migranti si blindano i confini, imbocchiamo una via pericolosissima. La chiusura delle frontiere interne può costare all’Europa fino a 1.500 miliardi, cioè quanto il pil italiano. E l’Europa non è solo la matrigna cattiva che tanti descrivono, ma un modello unico di benessere. Siamo il 7 per cento della popolazione mondiale, ma produciamo il 23 per cento del pil del globo, e oltre la metà complessiva del welfare. E’ questo – conclude Pan – che stiamo mettendo in discussione per un’emergenza che non c’è”.

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