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A Davos la Lagarde parla di giovani, in Italia la politica di pensioni

Luciano Capone

La crisi ha allargato il divario tra le generazioni. Ma i partiti in campagna elettorale parlano solo agli anziani

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Roma. “Che cosa succede a un sogno rimandato?”. La domanda, presa in prestito dallo scrittore americano Langston Hughes, è stata posta dal palcoscenico di Davos da Christine Lagarde. Il sogno è quello di milioni di giovani in Europa, che immaginavano un futuro di realizzazione e di benessere, rinviato dalla crisi economica che li ha costretti a un lungo presente di disoccupazione, precarietà e povertà. La direttrice del Fondo monetario internazionale ha illustrato un problema economico e sociale che non sembra essere in cima all’agenda dei politici, ma che è probabilmente il più importante e duraturo effetto della crisi: la condizione dei giovani e l’aumento del divario generazionale. 

 

Presentando i risultati di una ricerca del Fmi su “Disuguaglianza e povertà tra le generazioni nell’Unione europea”, la Lagarde ha mostrato come la disuguaglianza, che a livello globale è diminuita in maniera significativa negli ultimi tre decenni, non è un sembra un grande problema per l’Europa neppure dopo la crisi: “A prima vista – ha detto nella sua presentazione – la diseguaglianza non sembra essere una minaccia tanto grande in Europa. La disuguaglianza del reddito medio è rimasta sostanzialmente stabile dal 2007”. A differenza di quanto ripetono continuamente la politica e i media, dopo la crisi economica la disuguaglianza non è affatto aumentata, e questo anche grazie alla forte rete di protezione sociale degli stati del vecchio continente. Ma queste reti non hanno salvato tutti allo stesso modo. Se il livello di disuguaglianza è rimasto costante, all’interno della società è avvenuto un rimescolamento che ha visto le giovani generazioni pagare più di tutti. “Sotto i numeri, tuttavia, c’è una tendenza preoccupante: in Europa il divario tra le generazioni si è notevolmente ampliato. Le persone in età lavorativa, e in particolare i giovani, sono rimasti indietro”.

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Dopo il 2007 il reddito dei giovani è sceso a causa della crisi economica e della disoccupazione ed è risalito lentamente, mentre per gli anziani (over 65) – che sono messi al riparo dal ciclo economico grazie alle pensioni – i redditi sono cresciuti a tassi del 10 per cento. Ma la perdita di reddito è solo un fatto che ha ampliato il divario. L’altro è il welfare completamente sbilanciata sulle pensioni, che offre una protezione sociale per i giovani completamente inadeguata. E la disoccupazione sommata all’assenza di protezione sociale conduce inevitabilmente alla povertà: “Prima della crisi finanziaria globale – ha spiegato Christine Lagarde – in Europa la povertà relativa dei giovani (18-24 anni) e dei più anziani (over 65) era simile. Ma dalla crisi si è sviluppato un grande divario”. Il rischio di povertà tra i più anziani è sceso di 4 punti, dal 18 al 14 per cento, mentre tra i giovani è schizzato verso l’alto, dal 19 al 24 per cento. E ora “un giovane su quattro è a rischio povertà”. 

 

Come illustrato dalla Lagarde questo è un trend europeo. Ma in Italia questo fenomeno, per motivi storici e per un sistema di protezione sociale sbilanciato sugli anziani, è stato più intenso. La povertà giovanile e la disoccupazione giovanile sono aumentate ovunque, ma in Italia più di tutti gli altri paesi. Il divario generazionale di reddito e ricchezza, come dicono le statistiche della Banca d’Italia e come abbiamo scritto più volte sul Foglio, negli ultimi 20 anni si è allargato in una maniera impressionante. Anche gli aggiustamenti giusti e necessari per rendere sostenibile il welfare, come la riforma Fornero delle pensioni, spostano molti costi sul futuro: in pratica vuol dire che le pagheranno gli anziani di domani, ovvero i giovani di oggi, quelli che già stanno pagando la crisi. 

 

La direttrice del Fmi suggerisce alcune riforme per mettere mano al problema: ad esempio incentivare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro con una decontribuzione (ciò che è stato fatto con il Jobs act); ridurre le tasse sui lavoratori a reddito più basso (ciò che è stato fatto, male, con il bonus 80 euro); investire in istruzione e formazione. E poi riformare il welfare, spostando la spesa sociale – che oggi è quasi integralmente destinata alle pensioni – sui giovani e sui disoccupati. Infine, fare una forma di redistribuzione generazionale attraverso il fisco, ad esempio tassando i patrimoni (in genere in mano ai più anziani) per alleggerire la pressione sul lavoro e sui giovani in generale. 

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Naturalmente la ricetta della Lagarde può essere discussa e contestata, ma il problema è che la questione generazionale è completamente assente dal dibattito politico. Anzi, i punti fermi di tutti i partiti sono proprio quelli che alimentano il divario. Di tassare i patrimoni, ovvero case e risparmi, non se ne parla proprio. Sulle pensioni anziché mettere mano agli assegni retributivi – cosa anche questa che pare politicamente improponibile – si pensa addirittura di peggiorare le cose, sfasciando la riforma Fornero. L’unica proposta per i giovani è l’illusione del reddito di cittadinanza, che rimanda il sogno promettendo la sopravvivenza.

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