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Valide ragioni per non dare a Trump del sessista in fatto di lavoro

Rosamaria Bitetti e Federico Morganti

La revisione dell’egualitarismo salariale obamiano libera le imprese dalla burocrazia e dà flessibilità alle donne

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Quel sessista di Trump ne ha pensata un’altra. La Casa Bianca ha deciso di fare un passo indietro rispetto alle politiche di Obama sull’annullamento del divario salariale. Nel gennaio 2016, il Council of Economic Advisers trovò che il salario annuale medio femminile ammontasse al 79 per cento di quello maschile, con percentuali ancora più basse per donne nere e ispaniche. Per contrastare tali discriminazioni, in ossequio al principio equal pay for equal work, l’Amministrazione Obama decretò che a partire dal 2018 le imprese con più di cento dipendenti dovessero presentare all’Equal Employment Opportunity Commission report dettagliati sui salari dei propri dipendenti.

  

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In molti commentatori, scatta l’automatismo “politica proposta da Barack Obama”, che ha in più “eguaglianza” nel titolo, uguale “soluzione perfetta a un problema sociale”. Trump è invece sessista, non ha altri scopi che privare le donne della giusta eguaglianza. Non si sono fatti attendere neanche gli attacchi alla figlia Ivanka – che ha costruito il suo brand di moda sul sostegno alle donne lavoratrici – perché il non opporsi a questa regolamentazione la trasforma automaticamente in una nemica delle donne. Purtroppo le accuse di sessismo rivolte a Trump non sono sempre infondate, ma in questo caso non occorre essere sessisti o suoi estimatori per ritenere questa proposta nociva.

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Dissentire sui mezzi non vuol dire disconoscere i fini: in quel caso, lo strumento di policy scelto dall’Amministrazione Obama era tutt’altro che adeguato. Era anzitutto sbagliata la diagnosi: qualsiasi studio che controlli per differenze nell’istruzione, nell’esperienza e nelle scelte lavorative individuali – a cominciare da un report del Department of Labor – mostra che il gender wage gap si assottiglia fino quasi a sparire. Discriminazioni e sessismo potranno rimanere nelle scelte educative o nella divisione del lavoro domestico, problemi che tuttavia non si risolvono verificando che per eguale lavoro il salario sia eguale.

  

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Un governo è in grado di stabilire, presi due dipendenti di pari mansioni, se la differenza tra i loro salari è giustificata? Difficilmente. Che un’impresa paghi uno dei due meno dell’altro può dipendere da molti fattori che nulla hanno a che fare con le discriminazioni categoriali. Un lavoratore può accordarsi per lavorare meno ore oppure preferire altre forme di benefit, che le donne, secondo quanto riscontrato da una rilevazione Gallup, sembrano in effetti prediligere.

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La policy di Obama avrebbe incoraggiato le imprese americane ad applicare una struttura salariale più rigida, per alleggerirsi dalle incombenze burocratiche. Con quali prevedibili conseguenze? Minori possibilità di modulare il salario sulla base della produttività, che viene così disincentivata. Minore libertà contrattuale: accordarsi per forme non-monetarie di salario sarebbe diventato più difficile, a tutto detrimento delle categorie che ne beneficiano maggiormente. Se una donna decide di essere pagata meno per avere più tempo da spendere con i propri figli, o magari per ammortizzare il trasporto da un quartiere difficile, non dovrebbe essere libera di contrattarlo con il suo datore di lavoro? Consideriamo giustamente una discriminazione l’essere costrette a un’iniqua divisione del lavoro casalingo; ma un problema culturale così spinoso non si risolverà con politiche che penalizzano ancora di più il lavoro femminile fuori dalle mure di casa.

  

L’esigenza di burocratizzare e sottoporre tutto allo scrutinio pubblico – oltre a essere un costo per le imprese e quindi peggiorare i salari attesi di tutti, ma in particolare di donne e minoranze – costringerebbe le aziende a elaborare contratti “check the box”, pensati cioè per rispondere alle richieste dell’Equal Employment Opportunity Commission, anziché alle proprie e a quelle dei propri dipendenti.

  

La strada dell’inferno è spesso lastricata di buone intenzioni. Per quanto Trump non si presenti esattamente come un paladino delle donne: fermando questa legge farà per loro la cosa più giusta.

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