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Quanto costa ai consumatori la multa a Google?

Rosamaria Bitetti

L’attivismo dei regolatori nella terra dei tech-titani

L’antitrust europeo ha multato Google per abuso di posizione dominante, per aver dato privilegi al proprio motore di ricerca Google shopping rispetto a motori di ricerca verticale. Il motore di ricerca verticale è quello che compara prezzi o informazioni su uno stesso bene o servizio fra altri siti: Google ha diversi motori di ricerca verticali (shopping, maps, news), che integra però nella sua pagina di ricerca orizzontale (quella dove finisce tutto). E questo secondo la commissione europea riduce la possibilità di scelta del consumatore.

 

È da tempo che Google e gli altri titani di internet sono nel mirino delle autorità antitrust: "Innovation and the Limits of Antitrust", un paper di Geoffrey Manne e Joshua Wright [sul Journal of Competition Law and Economics] parla addirittura di “tech activism”, che risulta da un pregiudizio contro pratiche di business innovative – e quindi difficili da ricondurre entro gli schemi mentali dei regolatori a forme di concorrenza, anziché di abuso. Un pregiudizio alimentato da incentivi per la propria carriera: una gigantesca multa a una big tech che è sulla bocca (e sul cellulare) di tutti dà molto di più prestigio e riconoscibilità a un commissario che bloccare un pericoloso cartello di cementifici.

  

Si tratta però di una tendenza molto pericolosa, perché la rivoluzione di internet cambia continuamente gli equilibri di mercato a ritmi mai visti prima, e fa saltare molte delle condizioni su cui si basano i modelli teorici del diritto della concorrenza. Possiamo solo cominciare a capire come sarà la concorrenza nel mondo di internet, e uno dei motivi principali per cui questo mondo è così ricco di servizi impensabili fino a pochi anni prima è l’eccezionale varietà di sperimentazione di modelli di business. Non solo nuovi servizi, ma anche e soprattutto nuovi modi per guadagnare da beni immateriali e spesso offerti gratuitamente (a quasi) tutti i consumatori. Beni che non si deperiscono, quindi chi li offre è costretto a competere con sé stesso se vuole continuare a esistere. AltaVista, Yahoo!, BlackBerry, Nokia, MySpace sembravano titani imbattibili pochi anni fa, e sono scomparsi. La lotta fra i titani della tecnologia si svolge in un territorio schumpeteriano di distruzione creatrice, in cui l’innovatore di oggi soppianterà qualsiasi altro titano che non saprà innovare anche radicalmente il suo prodotto.

 

Una terra crudele per chi ci compete, certo: ma una terra in cui il consumatore trae benefici incredibili, e che dà per scontati. Provate a pensare poter tornare nel 2007, o nel 1998, e raccontare a voi stessi le cose che potete fare su internet oggi: neanche uno scrittore di fantascienza avrebbe potuto predirli. Proprio per questo, usando il principio di precauzione tanto caro alla disciplina europea, sarebbe forse il caso di andarci cauti prima di far decidere a un regolatore come debba svolgersi esattamente la concorrenza.

  
La decisione dell’antitrust di multare Google ci riporta indietro nel tempo. Nel 1998 Google rivoluzionò il modo di calcolare la rilevanza – fondamentale per creare l’ordine più comodo con cui mostrare i risultati – considerando i click degli utenti come voti. Nel 2007 lanciò l’Universal Search, con cui mostrava non solo siti, ma anche informazioni rilevanti. Se cerco “pizza New York”, posso volere una ricetta, una definizione, una cartina delle pizzerie più vicine, una comparazione dei prezzi, delle recensioni. Integrando diversi prodotti nella sua ricerca, Google mi permette di vedere tutto nella stessa pagina; ed è forse per questo che non è scomparso come i tanti motori di ricerca che lo hanno preceduto.

 
Dieci anni dopo, la Commissione Europea ci dice che questo non va bene. Perché sarebbe discriminatorio, quando scrivo ad esempio “Michael Kors”, integrare i risultati sui prezzi e disporli in quella che Google pensa essere la posizione più utile per chi cerca. Google dovrebbe prima preoccuparsi di dare un trattamento equo ai suoi concorrenti, e poi di farmi trovare più facilmente la mia prossima borsa (qualche paternalista sarebbe anche d’accordo).

 
Insomma, a Google questa multa costerà 2,4 miliardi di euro. A noi consumatori costerà tornare indietro nel tempo, e rinunciare a innovazioni che al momento non possono essere ancora immaginate né da noi, né da Google, né dai grigi regolatori di Bruxelles.