John Elkann con Sergio Marchionne (foto LaPresse)

Gli Elkann-Agnelli ora puntano sulle pepite della nostra economia

Ugo Bertone

Macché addio. Elkann annuncia che Exor investirà sulle aziende migliori d'Italia, senza comandarle. "Il paese non è più ostile"

Milano. A volte ritornano. Capita, si sa, ai lupi che perdono il pelo ma non il vizio. Ma anche agli Agnelli: neanche il tempo di celebrare il trasloco definitivo dell’impero verso lidi più accoglienti dal punto di vista fiscale e più comprensivi dei diritti delle maggioranze, tipo l’Olanda, ed ecco che il leader del clan, John Philipp Elkann in persona annuncia, un po’ a sorpresa, che Exor, la cassaforte quotata del gruppo, sta per fare di nuovo shopping in Italia. Non è il caso di parlare di ritorno, visto che gli affari italiani a quattro ruote del gruppo vanno comunque a gonfie vele (Fiat, Ferrari e Cnh), ed è alle porte la fusione tra Stampa e Repubblica che non ha il sapore del disimpegno. Ma in questi anni, dall’uscita dalla Confindustria alla cessione di asset simbolici (non escluso il Palazzo di corso Matteotti a Torino, già domicilio storico della famiglia), la strategia è stata quella di spostare il baricentro degli interessi in terre più profittevoli e meno ostili alla dinastia, già così osteggiata, ammirata ma odiata perché “cresciuta con gli aiuti di stato”. “Ho scoperto che l’Italia ha un rapporto irrisolto con Fiat”, disse Sergio Marchionne di fronte alla sfilata di giornalisti, banchieri, politici, magistrati e pure uomini di chiesa scesi in campo contro il gruppo, accusato sia di intenti egemonici sia di volersi emancipare dagli aiuti di stato che tanta parte hanno avuto nella storia Fiat del secolo scorso. Acqua passata.

 

Oggi John Elkann – come lui stesso ha anticipato in un’intervista al Financial Times – ha in mente ben altro. L’obiettivo è di acquistare partecipazioni in aziende famigliari di successo, “pepite” d’oro dell’economia italiana. Aziende che vantano una forte vocazione all’export, un buon prodotto e – non meno importante – una proprietà o un management capace, da valorizzare e non da liquidare. Aziende come Technogym di Nerio Alessandri. O come Eataly e Moncler, le aziende guidate verso il successo sui mercati dalla mano paziente di Giovanni Tamburi di Tamburi Investment Partners, la finanziaria di partecipazioni che ha messo assieme un portafoglio miliardario in pacchetti di minoranza con l’atteggiamento del compagno di viaggio sui mercati piuttosto che quello del banchiere d’affari a caccia del profitto immediato. Un partner ideale per un capitalismo “piccolo” che rappresenta il meglio dell’economia italiana. Una filosofia che Tamburi, citato nell’intervista, ha potuto spiegare (magari nei weekend al Sestriere) all’erede di colui che fu l’emblema dell’Italia del Novecento. Niente a che vedere con lo spirito della grande impresa che per tanti anni in Italia è stata sinonimo di Fiat, un gigante condannato a comandare senza troppi complimenti, cui si doveva obbedire senza discussioni. Un atteggiamento che spiega in buona parte il fallimento dei tentativi di creare un polo della moda sotto la regia di Cesare Romiti. Ma “è cambiata la percezione del nostro gruppo” dice John Elkann che, passo dopo passo, s’è emancipato dall’etichetta di nipote del signor Fiat.

 

Oggi, grazie soprattutto a Sergio Marchionne, il gruppo è una realtà globale in cui l’Italia è (quasi) un paese come gli altri. Ove forse Exor non è in grado (e probabilmente non vuole) spendere la propria influenza nemmeno per eleggere il sindaco di Villar Perosa, altro che i governi. Consapevole che il carisma e il potere passano oggi di altri canali rispetto ai tempi del nonno. Dove e come esordirà il new look di Exor lo si saprà presto, forse già oggi quando si riunirà il consiglio di amministrazione per la trimestrale. Per ora accontentiamoci di una conferma: l’Italia delle imprese è in pieno recupero, tanto da attrarre di nuovo gli Agnelli.

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