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Se crolla l’Unione europea ci restano Londra e i Proms, e non è poco

La Gran Bretagna potrebbe diventare presto un paradiso, come la Spagna, dove senza governo si cresce più del doppio dell’Italia, paese che non fa figli e non lavora, gravato da tasse burocrazia welfare demografia in declino e pigra sfiducia, sebbene la faccenda non interessi più di tanto il primo ministro, e non capisco perché.
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Banchieri della City mi dicono, per la serie paradossale “There’ll Always Be An England”, che quelli delle Midlands, che hanno votato per il Leave, hanno nel frattempo perso un sacco di soldi, mentre quelli di Londra, che hanno votato per il Remain, e sono andati sotto nel referendum, hanno guadagnato parecchio dal calo della sterlina sul dollaro e sull’euro. Chiunque in Europa, eccetto la Germania, darebbe non si sa che cosa per una svalutazione della moneta del dieci per cento. Londra di questi tempi ha un’aria tranquilla. Dicono che alla fine non cambia gran che. Di fronte al probabile rigetto parlamentare dell’iniziativa Brexit, per rivedere le cose in base all’articolo 50 e iniziare i difficili negoziati su immigrazione e mercato unico con l’Unione, Theresa May sarà costretta a ricorrere a nuove elezioni politiche il cui oggetto sarà lo stesso del referendum ma con risultato molto probabilmente opposto. Ne seguirà uno stallo, e forse nuove elezioni. Un paradiso, come in Spagna, dove senza governo si cresce più del doppio dell’Italia, paese che non fa figli e non lavora, gravato da tasse burocrazia welfare demografia in declino e pigra sfiducia, sebbene la faccenda non interessi più di tanto il primo ministro, e non capisco perché.
 
Intanto Londra si celebra con i Proms. Per chi non lo sapesse, è il più eccitante Festival del mondo. Imparagonabile con le durezze rigorose di Bayreuth, la città dove Richard Wagner installò il teatro destinato a celebrarlo nei secoli, o i lussi di Salisburgo, la città che Mozart amava detestare ma gli diede i natali. Centoventidue anni fa Henry Woods, il cui busto campeggia sornione al centro della Royal Albert Hall, diresse la prima stagione di una serie di concerti estivi per il popolo, ma di estrema qualità. La Royal Albert Hall è un teatro circolare immenso e pacchiano che celebra l’amore della Regina Vittoria per il marito, a South Kensington, un luogo teneramente amato dai suoi frequentatori. Nell’arena centrale, rigorosamente in piedi, e senza alcun dress code, spesso in mutande provenienti da una corsetta a Hyde Park, che è dall’altra parte della strada, migliaia di giovani e di energici vegliardi e vegliarde assistono, dove normalmente toreri e tori si affrontano nelle corride, alle performance serali di due o più ore, pietrificati dalla bellezza della musica; e intorno a corona, seduti più o meno comodamente, altri europei commonwealthiani e britannici, che pagano il prezzo della loro pigrizia, ascoltano e guardano ammirati. Su nelle gallerie passeggiano e poi si fissano nell’ascolto altri avventizi che, come quelli dell’arena, fanno file chilometriche per ottenere il giorno della rappresentazione biglietti a 6 pound, ora svalutati, e ascoltare il concerto da loggionisti in piedi. Proms sta per promenades, appunto, passeggiate, perché la manifestazione, che dura dalla metà di luglio al 10 settembre, è fondata su questa libertà di movimento che cessa spontaneamente non appena il direttore d’orchestra dà l’invio.
 
Il tripudiante pubblico dei Proms, con i suoi colori, rumori, ham & cheese sandwich, gelati e birre, e il repertorio eseguito dai Berliner, dalle Arts Florissants, dal Concertgebouw di Amsterdam o dalla Staatskapelle di Berlino o Dresda, e dalla London o dalla Bbc Symphony Orchestra, e molte altre tra le grandi, sono la quintessenza dell’Europa storica e tradizionale, altro che Brexit. Non mancano i maestri del jazz, e se l’Unione crollasse su sé stessa, resterebbero pur sempre i Proms, che caldamente consiglio a tutti, come ancora di salvezza. 
 
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