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Prodotto interno netto

Tacciono i decimali. La partita di Roma con l’Ue si fa tutta politica

Marco Valerio Lo Prete
Il pil italiano cresce come da attese, quello tedesco sprinta. Il governo di Roma declina la cessione di sovranità. Padoan in lode delle banche – di Marco Valerio Lo Prete
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Roma. Il prodotto interno lordo (pil) italiano, nel primo trimestre 2016, è cresciuto in linea con le attese: più 0,3 per cento rispetto alla fine del 2015 e più 1 per cento rispetto a un anno fa. Il pil tedesco, nello stesso periodo, è cresciuto più rapidamente delle attese: più 0,7 per cento, a una velocità doppia rispetto alla fine del 2015. L’Eurozona nel complesso, invece, fa un po’ peggio delle attese: più 0,5 per cento, non più 0,6 come previsto. Mettendo in fila questi aridi decimali, nel governo Renzi si fa strada la convinzione che sempre di più, a Bruxelles, bisognerà parlare di politica e meno di aritmetica. O almeno questa è la speranza. Vediamo perché.

 

La crescita italiana nei primi tre mesi dell’anno “continua a sottoperformare rispetto alla media dell’Eurozona”, scrive in una nota Paolo Mameli, senior economist di Intesa Sanpaolo, ma il dato è “in linea con le aspettative nostre e di consenso”. Per arrivare al più 1,2 per cento previsto dal governo a fine anno servirà un’accelerazione, ma in attesa del dettaglio sulle componenti del pil sembra che la spinta più forte sia arrivata dalla domanda interna. Dai consumi privati, in particolare, e non dal commercio estero. E’ un fatto rassicurante, in tempi di flessione della congiuntura mondiale. Se a questo andamento del nostro paese si somma la lieve revisione al rialzo del pil dell’ultimo trimestre del 2015 da parte dell’Istat, si comprende l’ottimismo di Palazzo Chigi e ministero dell’Economia sul via libera alla flessibilità aggiuntiva per i conti pubblici che dovrebbe arrivare la settimana prossima dalla Commissione Ue. Lo stock di debito pubblico è aumentato anche a marzo, e Bruxelles non potrà non notare almeno questo. Tuttavia, se quel che conta è la discesa del rapporto debito pubblico/pil, si dovrà pure tenere conto dell’inflazione, e qui le brutte notizie arrivate sempre ieri (l’inflazione acquisita per il 2016 è a meno 0,5 per cento, cioè i prezzi scendono e trascinano in giù il pil nominale) chiamano in causa anche l’efficacia di una politica continentale, quella monetaria della Banca centrale europea. Da parte sua la Germania, che da gennaio a marzo ha avuto il ritmo di crescita più vibrante di tutto il G7, avrà buon gioco a far osservare che finalmente sono i consumi a fare la parte del leone, non l’export. Cari critici del modello tedesco – diranno a Berlino – non vedete che il ribilanciamento che volevate è già in atto?  

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Troppo poco, troppo piano, sembrano rispondere da Roma. I decimali di un trimestre non fanno primavera nei rapporti di forza europei, come si evince dalle parole di ieri del ministro dell’Economia italiano. Infatti Pier Carlo Padoan, durante un seminario alla Luiss, prima ha difeso “le tanto vituperate banche” italiane che acquistando titoli di stato nazionali hanno svolto negli scorsi anni una funzione anti ciclica sui mercati finanziari. Poi è tornato sullo stop imposto da Berlino alla più importante riforma oggi sul tavolo dei Consigli europei, cioè l’Unione bancaria. Fissare un tetto alla quantità di titoli di stato domestici nei bilanci delle banche, come richiesto dal governo tedesco prima di andare avanti sulla garanzia comune dei depositi dell’Unione bancaria, sarebbe “una decisione sbagliata, non ideologicamente ma economicamente”. Perché creerebbe instabilità finanziaria e perché, al di là delle apparenze, non rispetterebbe lo spirito originario dell’Unione bancaria che doveva rompere il nesso perverso tra rischio bancario e rischio sovrano, ponendo troppa enfasi sul debito pubblico che – ricordano a Via XX Settembre – non è stato all’origine della crisi. Se la risorsa più scarsa oggi in Europa è la fiducia, Padoan ha già ufficializzato un piano per dimostrare che l’Italia è pronta a cedere sovranità e rassicurare gli interlocutori. Dallo schema di assicurazione europea contro la disoccupazione alla garanzia per i depositi, passando per il completamento del mercato interno, si vuole spingere Berlino ad ammettere che “cessione di sovranità” è un altro modo per dire “condivisione del rischio”.

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