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Nuovi progetti sindacali in Fca, la crescita dell'economia spagnola e curiosi licenziamenti

La Fim-Cisl spariglia in azienda. Riforme? Meglio se in recessione. Licenziato per uno starnuto in più
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In Fca, prove di sindacato all’americana. Il sindacato dei metalmeccanici Fim-Cisl e l’Associazione quadri e professional (Aqcf) martedì hanno firmato un’intesa per progetti e iniziative comuni in tutti gli stabilimenti italiani del gruppo Fca, Cnhi, Magneti Marelli, e centri di ricerca e servizi. L’intesa tra operai, quadri e tecnici vuole sviluppare gli spazi di collaborazione tra la funzione della produzione e la funzione manageriale su formazione, servizi, alte professionalità. Una trasformazione delle relazioni sindacali che discende dal modello di organizzazione degli stabilimenti Fca detto World class manufacturing (Wcm), evoluzione del modello Toyota mutuata dall’ad Sergio Marchionne dal 2006, che prevede l’integrazione tra i processi decisionali e quelli produttivi per cui il lavoratore fa il suo interesse nell’interesse dell’azienda. La consapevolezza nasce dalla ricerca “Le persone e la fabbrica” sul sistema Wcm in Fca realizzata da Fim-Cisl con il Politecnico di Milano e di Torino sul biennio 2013-’15. Per Marco Bentivogli, segretario Fim-Cisl, “l’accordo è di importanza storica perché manifesta un’alleanza all’interno del blocco sindacale che ha contribuito a salvare la Fiat, al contrario dell’antagonismo Fiom, e che ora consente di parlare di investimenti, di nuovi modelli di Alfa Romeo e di piena occupazione delle fabbriche nel 2018 oltre a rappresentare pure i lavoratori ‘precari’ e i professionisti e ad aggredire la proliferazione di sigle sindacali, fonte di corporativismo e autoreferenzialità”. In Fca ci sono 7 sigle sindacali. Il blocco Fim-Cisl-Aqcf rappresenta il 40,9 per cento dei lavoratori Fca iscritti ai sindacati e il 45 per cento sul totale delle Rappresentanze sindacali aziendali (Rsa).

 

Riformare in crisi è saggio, Rajoy docet. Una nota della banca spagnola BBVA sostiene che la riforma del lavoro a opera del governo di centrodestra di Mariano Rajoy risalente al 2012 ha ridotto la disoccupazione e aumentato la crescita. Gli autori contestano la tesi per cui è preferibile ritardare le riforme strutturali a periodi di maggiore inflazione e crescita. Infatti se in un periodo recessivo Rajoy avesse rinunciato a introdurre per decreto licenziamenti più facili, maggiore flessibilità, e sgravi per l’assunzione di giovani e under-45, si sarebbero persi oltre 90 mila posti di lavoro; mentre se la riforma fosse stata adottata nel 2008 sarebbero stati preservati oltre 2 milioni di posti. L’economia spagnola è uscita dalla recessione nel 2013 e sta creando posti di lavoro da un biennio al ritmo del 3 per cento. Il tasso di disoccupazione è del 20,5 per cento a gennaio 2016, era del 27,2 nel primo trimestre 2013; il record negativo. I critici di stampo keynesiano, sostiene BBVA, possono essere ingannati nell’analisi dall’ignoranza della limitata sovranità politica e monetaria entro la quale operano i governi dell’Unione europea e dell’Eurozona. Sia il Partito socialista sia la sinistra radicale che hanno insidiato il primato del centrodestra alle elezioni generali di dicembre – i Popolari sono il primo partito ma non hanno la maggioranza – vogliono smontare la riforma perché, sostengono, il maggiore livello di impiego è creato con lavori precari e salari più bassi. Álvaro Nadal, consigliere economico di Rajoy, su Expansión, ha risposto ai partiti di sinistra che non tengono conto dei vincoli monetari esterni, ovvero che l’impossibilità di svalutare la moneta implica che la regolazione dei maggiori costi del lavoro può avvenire esclusivamente attraverso un aumento della disoccupazione.

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Per la Cassazione la salute prima di tutto. La Corte di Cassazione, riportava ieri il Sole 24 Ore, ha ritenuto valido il licenziamento per giusta causa di un lavoratore subordinato che si è ripetutamente assentato dal lavoro per andare a caccia con regolare certificato di malattia (o usando il congedo parentale). Ma soltanto perché, così facendo, “ritardava” la sua pronta guarigione. Giudice, cura te ipsum.

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