Susanna Camusso

I sindacati studino il marketing oppure Renzi li asfalterà sempre

Antonio Belloni
La comunicazione nell'era renziana diventa decisiva anche per le corporazioni dei lavoratori. Il modello australiano

Prima che si ripetano altri casi Pompei e Colosseo, ai sindacati serve del buon marketing che porti sano consenso, altrimenti finiranno definitivamente asfaltati – è più elegante dire disintermediati – dal premier e, peggio ancora, abbandonati dai lavoratori. Hanno infatti perso la prima delle sfide contro Matteo Renzi. Per due volte, un’assemblea ha bloccato gli accessi alle due mete turistiche lasciando qualche migliaio di persone fuori dai cancelli. Seppur i lavoratori abbiano ottenuto i fondi per i loro giusti straordinari arretrati, e il governo si sia preso una piccola rivincita con un decreto che pareva già in freezer pronto per il microonde, e che mette la cultura tra i servizi pubblici essenziali, la vittoria ai punti è toccata al premier.

 

Abile tartufaio di consenso, sa osservare chi lo conquista, come è pronto a raccogliere quello perso da altri. Ha infatti percepito il maggior clamore dei turisti furiosi – veri sconfitti – rispetto a quello dei lavoratori in protesta; così come avrà percepito la derivante perdita di consenso dei sindacati presso un’opinione pubblica che, pur compresi il senso e il fine delle proteste, non ne approva più il metodo. Il machiavellismo dei sindacati è stato tutto qui: un piccolo risultato oggi, in cambio di un’ennesima fetta di consenso persa, utile per la guerra di domani. E’ così che questa piccola sconfitta porta acqua a una strategia di comunicazione, quella del premier, che finora ha ben pagato. Nel prossimo futuro è infatti probabile che sia ancora una volta lui per primo a scegliere il campo di battaglia – i maestri dell’Arte della guerra direbbero “power initiative”. Come è probabile che lo disegnerà a suo piacere, con un marketing elettorale già vincente: metterà da una parte tutte le truppe dell’Italia che “dice sì”, quella che vuole cambiare e che accetta le sfide, quella del coraggio; e dall’altra tutti quelli che “dicono no”, quelli che ostacolano il cambiamento, che appaiono come frenanti in un paese abituato all’immobilità. In questo campo vi saranno due gruppi agguerriti in grado di difendersi, attaccare e guadagnare consenso (Lega, M5s), ma altri bersagli più facili, i sindacati appunto, indeboliti da strategie di marketing à la Tafazzi.

 

[**Video_box_2**]E’ solo colpa di un mondo che cambia troppo velocemente se questi perdono consenso? Siamo davvero entrati nella società post sindacale, che conduce il sindacato verso l’irrilevanza? Dicevamo così anche della politica, almeno finché è arrivato un toscano che sa parlare alla gente. It’s the marketing, stupid. Davanti al Colosseo non sono mancate la capacità o la volontà di difendere e rappresentare i lavoratori, ma è mancata la capacità di mettere l’opinione pubblica dalla propria parte. Di creare consenso. Se il comunicato della Cgil di Brescia sul successo dello sciopero contro Ikea comincia così “Negozi in difficoltà. Lavoratori tutti fuori”, vuol dire che è il marketing a mettersi in sciopero. Quello che non fa dire “operazione riuscita, il paziente è morto”, ma avvicina l’orecchio alle persone da rappresentare e difendere, che aiuta a prendere la via della rottamazione evitando quella più dolorosa della disintermediazione. Sembra impossibile ma si può fare. In Australia, per esempio, c’è Alex White, un sindacalista esperto di marketing e strategie di comunicazione, che insegna ai sindacati a comunicare, a usare le tecnologie per non essere schiacciati. Nel 2012 ha partecipato alla campagna porta a porta di Barack Obama (sulla strada, dal pc o dal call center, non dai tv talk). Di ritorno ha scritto “Facebook for Unions”, un manuale sui social nelle campagne sindacali, dove i primi nemici dei lavoratori contro cui combattere, da far arrabbiare, sono le multinazionali. Qui si scelgono come nemici i cittadini comuni, gli utenti della metro, i turisti in coda fuori dai cancelli dei musei per l’esperienza di una vita. Ma qui è un’altra storia, chi non sta col governo scrive “L’amore ai tempi di Facebook”.

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