Il procuratore della Repubblica di Savona, Francantonio Granero

Granero e i consigli dello Zio Sam

Alberto Brambilla
Cosa c'entra l'inchiesta sulla Tirreno Power di Vado Ligure con l'incertezza del diritto ambientale e l'incidente del Cermis. Cosa ha detto il procuratore della Repubblica di Savona nell’audizione parlamentare dell’8 settembre scorso davanti alla Commissione di inchiesta.

Roma. Il procuratore della Repubblica di Savona, Francantonio Granero, cinquant’anni in magistratura, ha chiuso da qualche mese l’ultima inchiesta della sua carriera (in pensione da agosto). E' quella sulla centrale termoelettica di Vado Ligure della Tirreno Power per supposto “disastro ambientale”, incorniciandola con un’audizione parlamentare l’8 settembre scorso davanti alla Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati.

 

Ai parlamentari concede, con spigliata parlantina, delle interessanti considerazioni rivelatrici del modus operandi della giustizia in materia ambientale nei confronti di aziende dell’industria pesante.


Granero sostiene ci sia stato un aumento delle emissioni con la gestione Tirreno Power rispetto a quella precedente di Enel; pur sottolineando il rispetto delle norme da parte di Tirreno sui limiti legali di emissioni. L’operato aziendale, dice, è infatti contestabile sul piano etico (non del diritto).


Granero riconosce i “problemi drammatici” provocati dall’indagine e dal relativo sequesto preventivo in essere dal marzo 2014 all’attività economica della provincia di Savona – che ruota attorno all’impianto e al suo quintessenziale indotto, 600 famiglie circa – ma li ritiene “meno drammatici della morte”. Si parla di morti virtuali, e cassintegrati reali.


La relazione tra morti e malattie per patologie respiratorie invero non è stata provata né empiricamente – da quando la centrale è spenta l’inquinamento in alcuni mesi è addirittura aumentato – né soprattutto in base all’esistenza di un nesso causale che dovrebbe rincondurre qualsiasi patologia precisamente alla centrale.


Le principali procure d’Italia, Roma e Milano, evitano di usare le perizie epidemiologiche e il nesso causale come base dell’impianto accusatorio. Lo fa, invece, ad esempio, quella di Taranto, del caso Ilva.

 

Granero poi parla della decisione di mettere per iscritto l’equiparazione tra le emissioni Enel e quelle Tirreno. La storia si fa interessante perché la gestione pubblica produceva, dice, minori emissioni di quella privata. Appare tuttavia incredibile che la centrale Enel viene fermata per 2 anni per ambientalizzazione e, quando riapre, ceduta dopo pochi mesi a Tirreno Power, si mette a inquinare più di prima. Ma al netto delll'incongruenza logica quello che rileva è altro.

 

[**Video_box_2**]Ovvero: un confronto storico, connesso a mille variabili, come può essere l’aumento temporaneo della produzione di energia elettrica, è rilevante ai fini dell’indagine e del processo? “Non era rilevante dal punto di vista giudiziario perché noi lavoramo dentro i termini di prescrizione, quindi quello che aveva fatto Enel non ci interessava”, dice Granero. “Il dato risulta dalle pubblicazioni ufficiali, non le ho lette io, le hanno lette i nostri consulenti, prendendo i report negli anni e negli anni… noi l’abbiamo citata, diciamo così, un po’ come nota di colore. Perché è vero che il processo è fatto da tecnici e si deve ragionare in termine tecnico – essenziale, aggiungiamo noi, in una materia ipertecnica e cavillosa come il diritto ambientale – ma è vero che la tecnica è pur sempre manovrata da uomini. E allora specialmente il  mondo anglosassone ci aiuta molto e allora l’idea di inserire quella parte lì – quella in cui si intende fare emergere che la gestione Tirreno inquina di più dell’ex Enel nonostante sia sottoposta a vincoli emissivi mai superati, come attesta lo stesso provvedimento di sequestro della procura di Savona nel marzo 2014 – mi è venuta proprio dall’esperienza che avevo fatto per il Cermis”.

 

Granero in qualità di procuratore presso il tribunale di Trento era titolare dell’inchiesta sull’incidente alla funivia del Cermis – nel 1998 un un aereo militare degli Stati Uniti, violando i regolamenti, tranciò il cavo di una funivia in Val di Fiemme (Dolomiti) facendo 20 morti; piloti assolti dalla giustizia americana. “Quando ho fatto il procedimento per il Cermis, che poi gli Stati Uniti si sono portati via facendo tutto loro, sono arrivati 13 pubblici ministeri statunitensi a parlare con noi e, tra le altre cose, ci hanno chiesto che noi gli dessimo la cabina caduta, un ammasso di rottami di venti tonnellate che non serviva assolutamente a nulla, gli dessimo qualche scarpone e qualche pezzo di sci rotto. E io gli ho detto: ma scusate cosa ne fate rispetto alla prova del reato di queste cose? E loro mi hanno risposto che queste cose servono per la giuria. La giuria è fatta di uomini e queste sono cose che impressionano”. Dunque l’indagine, secondo Granero, dovrebbe anche impressionare e non solo verificare la presenza di un reato.

 

E allora? “E allora anche il tecnico del diritto molto freddo, così come siamo riusciti a costruire noi il giudice italiano, di fronte al fatto che nel 1980 (quando c’era Enel, ndr) le cose andavano meglio che nel 2010 resta un po’ colpito. Ecco perché abbiamo messo questo fatto”.

 

Prove sostanzialmente irrilevanti, lavoro superfluo dei tecnici della procura, per “fare colore”? Grazie del consiglio, Zio Sam.

 

P.S. Granero ha lasciato 6.000 procedimenti in arretrato essendosi concentrato solo su Tirreno Power, secondo La Stampa (edizione di Savona del 25 settembre 2015).

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.