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Di cosa parlare stasera a cena

L'ultimatum dei talebani e il G20 sullo sfondo

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

Il dialogo con i talebani, cioè con una costellazione di gruppi etnici già autori di una loro mediazione interna (dialogo che comunque c’è e continuerà a esserci, anche con mediazioni di altri paesi) per ora consta di alcune minacce, probabilmente anche dedicate a loro uso interno, e di una specie di ultimatum. La minaccia è ormai nota e riguarda l’imposizione di tempi strettissimi, il 31 agosto, per ultimare il ritiro e, evidentemente, completare il trasferimento all’estero di chi si intende mettere in sicurezza. Le autorità militari rispondono che non è accettabile quella scadenza, per realizzare tutto il necessario. Si finirà con una proroga, negoziata, perché ormai così è la situazione. Anche se le persone da portare via sono, secondo testimonianze, circa 20 mila. Un numero non enorme e che sarebbe possibile trasferire potendo contare sulla piena operatività dello scalo.

 

Questo è il quadro, ma almeno serve a capire cosa si intende per parlare con loro, per avviare, e strano che Giuseppe Conte non abbia usato questa espressione, una interlocuzione. È un dato di fatto, come lo è, e ce lo ha ricordato tra le righe e con qualche allusione, anche Romano Prodi, il riconoscimento del ruolo della Cina nell’area. Tanto che il lavoro di Mario Draghi per estendere alla sede del G20 il ruolo di istanza internazionale in cui regolare i rapporti con il nuovo regime diventa importante anche perché aiuta a riequilibrare il ruolo cinese con la presenza di India e Russia. Stranamente di India si parla poco, ma nella stampa asiatica è considerata l’altra grande perdente, assieme agli Stati Uniti, e certamente Narendra Modi cercherà qualche occasione per recuperare dopo questo rovescio strategico. Negli Usa, intanto, è cominciata una serie di prese di posizione da parte di commentatori favorevoli alle scelte di Joe Biden. Il presidente democratico, dopo alcune interviste pessime, sta recuperando terreno in termini di consenso.
 

Le tre "cose" principali

Fatto #1

La scuola è prossima all’apertura, ma c’è un consistente sbarramento contrario al rientro in presenza. Si usa molto l’arma del fraintendimento tattico, detto in termini più correnti si fa finta di non capire. Mentre da parte sindacale continua una forma di guerriglia, diciamo così, affidata a comunicati improvvisi, a passaparola, con cui si contesta l’obbligo vaccinale per chi viene a contatto con i ragazzi. Non sembrano troppo serrate, invece, le attività di messa in sicurezza delle aule, a cominciare dall’’uso di strumenti per aerare e purificare. Ma la voce delle famiglie sta crescendo e il governo e le regioni, se non mostrano un polso fermissimo, rischiano di essere sopraffatti dalle contestazioni di chi non vuole più vedere lezioni a distanza neanche per un giorno.

Obblighi vaccinali in giro per il mondo.

Il buon senso, coraggioso, vista l’aria che tira, di Giovanni Toti.

 

Fatto #2

È importante l’approvazione definitiva del vaccino Pfizer da parte dell’autorità americana del farmaco. Serve anche a chiudere qualche polemica strumentale e anche a convincere un numero apprezzabile di persone.

Magari siete a cena fuori e potrete citare questo bel dato francese, con cui il governo rivendica l’aumento dei consumi nei ristoranti dopo l’introduzione del pass sanitaire, il documento che attesta la vaccinazione e che, in Francia, è richiesto anche per i tavoli esterni. Più 5 per cento dice il governo nel periodo di agosto in cui è stato in vigore l’obbligo della certificazione. La questione è molto rilevante, perché in Francia c’è stata una forte campagna politica e giornalistica contro il pass sanitaire e l’argomento più diffuso era il probabile crollo dei consumi.

 

Fatto #3

E poi ci sono anche casi di successo nelle campagne internazionali di pressione, di cui ci rallegriamo enormemente prendendo a prestito un tweet del sottosegretario Enzo Amendola (il Marocco si caratterizza, ancora una volta, come paese più rispettoso dei diritti umani rispetto ai suoi immediati vicini).

David Sassoli, intanto, chiede alle autorità degli Stati Uniti di liberare un attivista politico degli indiani americani e parla di diritti umani da difendere ovunque. È possibile, anche molto probabile, che ottenga qualche risultato, anche se dopo 45 anni di detenzione parlare di successi e di liberazione suona un po’ male. In ogni caso si potrà mostrare che le battaglia per i diritti umani sono, sì, universali, ma si realizzano con qualche possibilità nei paesi in cui vige, in buona misura, lo stato di diritto e dove l’opinione pubblica apprezza e sostiene le garanzie e le tutele di uno stato democratico. Le stesse battaglie sono altrettanto nobili ma, purtroppo, molto più difficili in gran parte degli altri paesi. La vicenda, tremendamente crudele, di Patrick Zaki purtroppo mostra come sia difficile fare pressioni su un paese, come l’Egitto, in cui garanzie e stato di diritto sono quasi inesistenti. E vale lo stesso anche per la Bielorussia, per la stessa Russia, tanto per restare legati a vicende di attualità.

 

Oggi in pillole

  • Portato alla ragionevolezza da una propria naturale inclinazione e rafforzato in questa direzione grazie alla visione da commissario europeo, ecco che Paolo Gentiloni cerca di trovare una specie di mediazione tra le posizioni un po’ declamatorie del ministro Andrea Orlando su aziende estere e investimenti diretti in Italia e le risposte, polemiche, di Confindustria e di parti della maggioranza.
  • Iniziative forti per le donne afgane (ma poi anche i talebani stanno quasi sempre in camicione bianco, boh).
  • Massimo Galli si sottopone alla beceraggine di Twitter e risponde a domande sui vaccini.

 

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